UNA LUCE NEL BUIO
C'era una volta, in un piccolo villaggio incastonato tra dolci colline e scintillanti fiumi, un tempo di oscurità e incertezze. Le persone vivevano nel timore, afflitte da guerre, malattie e povertà. I loro cuori erano pesanti e la speranza sembrava un sogno lontano. Un giorno, in una stalla umile e semplice, nacque un bambino. La sua nascita avvenne tra il canto degli angeli e il scintillio delle stelle. Non era un bambino qualsiasi; era Gesù, un dono per il mondo, una luce che sarebbe brillata anche nei momenti più bui. Quando gli abitanti del villaggio vennero a sapere della sua nascita, furono inizialmente increduli. Come poteva un neonato portare cambiamenti in un mondo così sofferente? Ma ben presto, si diffusero tra loro notizie di meraviglie: il bambino guariva gli ammalati, parlava d’amore e pace, e ispirava la gente a credere in un futuro migliore. Una mattina, una giovane donna che aveva perso tutto nella vita, si avventurò verso la stalla, portando con sé un cuore triste. Ma quando vide Gesù, il suo sorriso illuminato e i suoi occhietti brillanti, sentì una calda luce avvolgerla. In quel momento, comprese che la nascita di quel bambino non significava solo la nascita di un bambino, ma la rinascita della speranza. Tornò al villaggio e raccontò a tutti ciò che aveva visto. Le persone cominciarono a riunirsi attorno alla stalla, portando cibo, abbracci e parole di conforto. La comunità si ricompattò, e le persone iniziarono a prendersi cura l'una dell'altra. La paura e l’oscurità cominciarono a svanire, e le risate riempirono nuovamente l’aria. Con il passare dei giorni, la Storia di Gesù si diffuse ben oltre il villaggio, e la sua speranza si trasformò in un messaggio universale. Ogni bambino, ogni anziano, ogni donna e uomo cominciarono a credere che anche in mezzo alle avversità, la luce e l'amore avrebbero sempre trovato la strada per brillare. E così, la nascita di Gesù non fu solo un evento storico, ma un simbolo eterno di speranza, un messaggero di pace per tutti i popoli. La gente imparò che, anche nei momenti più difficili, l’amore e la solidarietà sono i doni più preziosi, e che ogni nuova vita portava con sé la promessa di un futuro migliore. E vissero tutti felici e pieni di speranza, perché sapevano che, in qualsiasi buio, una luce avrebbe sempre brillato.
IL PANE DEL CIELO
C'era una volta, in un piccolo villaggio immerso tra le verdi colline, una comunità di persone che affrontava le prove della vita con sorriso. Nonostante i raccolti scarsi, le malattie che colpivano alcune famiglie e la tristezza della morte che talvolta bussa alle porte, la gente del villaggio trovava sempre il modo di rimanere unita e di mantenere viva la speranza.
Tra di loro c'era un bambino di nome Marco. Curioso e vivace, Marco si accorgeva che gli adulti, nonostante le difficoltà, sembravano sempre gioiosi quando si riunivano la domenica. Si abbracciavano, condividevano storie e risate; i loro volti si illuminavano come se avessero trovato un tesoro nascosto. Ma Marco non riusciva a capire il motivo di tanta serenità.
Un giorno, con il cuore pieno di domande, decise di seguire un gruppo di adulti che si dirigeva verso la piccola chiesa del villaggio. Si nascose dietro un albero secolare e osservò attentamente. Dentro la chiesa, i volti dei grandi si riempivano di luce quando il sacerdote offriva il pane e il vino, parlando del "Pane del Cielo", un nutrimento speciale che univa le anime e dava forza ai cuori.
Incuriosito, Marco chiese a un anziano del villaggio: "Perché siete così felici quando mangiate quel pane? Non capisco."
L'anziano sorrise e rispose: "Caro Marco, quel pane non è un semplice alimento. È il corpo di Cristo, il nostro nutrimento spirituale. Quando ci riuniamo attorno alla tavola del Signore, ci sosteniamo a vicenda e troviamo la forza per affrontare le difficoltà. È così che il nostro amore cresce e fiorisce, nonostante le sfide della vita."
Marco rifletté su queste parole, sentendo nel profondo del suo cuore una verità che finalmente cominciava a illuminare la sua mente. Decise così di unirsi agli adulti e di partecipare, con la purezza della sua infanzia, a quel rito speciale. Quando il momento arrivò, assaporò non solo il pane, ma anche un senso di appartenenza e una gioia immensa.
Da quel giorno, Marco non ebbe più dubbi. Ogni domenica, si univa alla comunità per nutrirsi del "Pane del Cielo", imparando che non erano solo le cose materiali a dare vita, ma anche l’amore, la fede e la gioia che si condividevano all'interno della comunità. Insieme, affrontavano le tempeste della vita, sostenendosi l’un l'altro come una grande famiglia, forti nell'unione e luminosi nella fede.
E così, in quel piccolo villaggio, il "Pane del Cielo" divenne non solo un alimento, ma il simbolo di una vita che, nonostante le difficoltà, continuava a splendere di gioia e speranza. E Marco, insieme ai suoi amici, crebbe sereno, portando sempre con sé la dolcezza di quel nutrimento speciale.
E vissero tutti felici, uniti nella fede e nella speranza, poiché il Pane del Cielo li guidava e li sosteneva.
IN CAMMINO
C'era una volta in un villaggio incastonato tra le montagne un uomo di nome Omar. Ogni mattina, Omar si svegliava presto per camminare lungo un sentiero che si snodava tra gli alberi e le rocce. Ogni passo lungo quel percorso era una riflessione sul suo cammino di fede. Un giorno, però, Omar si sentì stanco. La vita aveva portato delusioni, domande senza risposta e momenti di dubbi. Decise di non uscire, di restare a casa e di riflettere su tutto ciò che non andava. Quel giorno, la luce del sole non entrò nella sua anima come quando camminava tra la natura. Senza il movimento dei suoi passi, le ombre dei pensieri pesanti lo avvolsero. Ma la notte porta consiglio. Mentre guardava le stelle, un pensiero si fece strada nel suo cuore: "Ogni giorno è un'opportunità per ricominciare." La mattina seguente, nonostante i timori e le incertezze, Omar si alzò all'alba. Indossò le scarpe, aprì la porta e, con un respiro profondo, iniziò a camminare lungo il sentiero. Ogni passo era un atto di fede. Ogni albero che lo circondava sembrava parlargli, raccontandogli di speranza e rinnovamento. La sua mente si fece leggera e il suo cuore riacquistò pace. Lungo il percorso incontrò un anziano, che gli disse: "La vita è fatta di inizi e fini, ma nella fede non bisogna pensdare a ciò che è perduto. Si tratta di ricominciare." Da quel giorno, Omar comprese che non doveva mai smettere di camminare, anche quando la strada sembrava in salita. Ogni giorno era una nuova pagina da scrivere, una nuova possibilità di avvicinarsi a Gesù e di rinnovare la sua fede. E così, cominciò a raccontare la sua storia al villaggio. Ogni mattina, insieme ad altri, camminava lungo il sentiero, condividendo le meraviglie di queste piccole rinascite quotidiane. La fede si fece comunità, e ogni passo diventò un passo verso la luce.
In quel villaggio, la gente imparò che la fede non è un traguardo da raggiungere, ma un cammino da percorrere ogni giorno, con la certezza che ogni mattina porta con sé l’occasione di ricominciare. E così, insieme, continuarono a camminare, passo dopo passo,
La bambina che voleva imparare a Pregare
Una bambina molto piccina voleva imparare a pregare. Allora si mise ad osservare attentamente quello che la gente faceva quando andava in Chiesa. Ecco: uno apriva il suo libro di preghiere e stava per lungo tempo a leggere. Anche la bambina prese subito in mano il libro delle preghiere e lo aprì. Siccome non sapeva ancora leggere, teneva tra le mani il libro al contrario ,tuttavia chiese:- Adesso sto pregando? Una vecchietta, che era inginocchiata vicino le disse: - No , per pregare bisogna avere nella testa dei buoni pensieri. Ma questi non arrivano se tieni il libro al contrario! E le girò il libro per il verso giusto.
“Adesso mi verranno dei buoni pensieri” pensò la bambina e si sforzava in tutti i modi di farsi venire in mente buoni pensieri. E veramente buoni pensieri, come uccellini, vennero, volando da tutte le parti ed entrarono nella sua testolina. - Adesso sto pregando?- Chiese allora ad un anziano signore. - Tu non muovi le labbra. - Disse l’uomo - io, quando prego mormoro le preghiere a mezza voce. Allora la bambina cominciò a muovere le labbra e a pronunciare pian piano le parole della preghiera. - Adesso sto pregando ?- Domandò di nuovo? - Se vuoi davvero pregare – disse una giovane donna - devi incrociare le mani . E la bambina così fece. Quando fu stanca si alzò e si diresse fuori dalla chiesa. All’ultimo banco , in fondo ,vide un bambino come lei. Non teneva le mani giunte, non aveva libri e non muoveva le labbra. - Cosa fai? – gli chiese la piccina. - Sto pregando - rispose lui. - Ma come puoi pregare se non tieni le mani giunte, non hai il libro delle preghiere e non muovi le labbra? - Per pregare ho bisogno solo delle orecchie – rispose il bambino - perché pregare significa ascoltare Dio che parla dentro di noi!
il PICCOLO FIUME
C’era una volta, non tanto tempo fa, un piccolo fiume di nome Bèr che scorreva allegro dalla montagna di cristallo fino alla grande pianura. Bèr era un fiume svelto e luccicante, amico degli uomini e dei bambini che d’estate andavano a fare il bagno nelle sue acque fresche. Bèr era molto amico anche dei contadini ai quali dava volentieri un po’ della sua acqua per irrigare i campi e per annaffiare gli orti. Un giorno in pianura arrivarono uomini che cominciarono a buttare nell’acqua del fiume vari tipi di rifiuti: detersivi, plastica, lattine, oggetti, ecc. L’acqua cominciò a diventare sporca e Bèr non riusciva più a respirare. I bambini non potevano più andare a giocare sulle sue rive, figuriamoci poi fare il bagno! I pesci, che da tempo vivevano nelle sue acque, cominciarono a morire. La frutta, la verdura e tutti i prodotti dei campi irrigati con quell’acqua sporca facevano venire il mal di pancia a chi li mangiava. Insomma per Bèr attraversare la pianura era diventato un vero incubo. Piangeva sempre, ma nessuno poteva vedere le sue “ Il piccolo fiume” lacrime in mezzo all’acqua e nessuno sentiva i suoi lamenti. I contadini, preoccupati, si erano rivolti alle autorità spiegando che bisognava prendere subito dei provvedimenti, ma non ebbero risposte e quindi pian piano i contadini abbandonarono i campi e tutto intorno a Bèr vennero costruiti dei palazzoni e dei parcheggi. Durante un autunno particolarmente piovoso, le acque di Bèr si erano ingrossate a tal punto da rompere gli argini e inondare tutta la pianura. L’acqua sporca invadeva le strade, i negozi e le cantine dei palazzi, le auto galleggiavano sulle strade e la gente non riusciva più a muoversi. Ma ciò che più preoccupava le autorità era il crollo della strada che impediva ai camion che portavano il cibo di arrivare nella pianura. E intanto continuava a piovere. Dopo tanti giorni di pioggia Bèr cominciava a sentirsi meglio, più pulito. Quando finalmente un pallido sole era apparso in cielo, le sue acque riflettevano la luce facendolo brillare tutto. Appena le acque si ritirarono un po’, i bambini andarono subito vicino agli argini a giocare mentre i loro genitori stavano ancora cercando di pulire le strade dal fango. Quando gli uomini arrivarono con i camion per buttare nel fiume tutta la sporcizia che avevano raccolto nelle strade i bambini cominciarono a urlare: “Eh no! Adesso basta! Lasciatelo stare!”. Attirate dalle urla dei bambini, tutte le persone della pianura si avvicinarono al fiume per vedere cosa stesse succedendo. Bèr scorreva più lucente che mai, era uno spettacolo. Gli uomini restarono incantati a guardarlo per un po’, poi decisero che non lo avrebbero riempito di rifiuti un’altra volta, anzi non l’avrebbero fatto mai più. “Lo ripuliremo per bene e nessuno dovrà più buttare immondizia nell’acqua, perché se lo farà le multe saranno salate!” disse il sindaco. Ora Bèr scorre felice nella pianura vicino alle case dei bambini e forse, con un po’ di pazienza, qualche pesce deciderà di fidarsi ancora degli uomini e tornerà a guizzare nelle sue acque.
I due amici
Una volta due grandi amici decisero di attraversare il deserto. Si fidavano l’un l’altro e sentivano di non poter chiedere una compagnia migliore. A causa della stanchezza, però, i due ebbero una divergenza di opinioni. Dal disaccordo passarono a una discussione e da questa a un dibattito acceso. La situazione degenerò al punto che uno degli amici colpì l’altro. Questi si rese subito conto dell’errore commesso e gli chiese perdono. Allora, colui che era stato colpito scrisse sulla sabbia: “Il mio miglior amico mi ha colpito”. Proseguirono il cammino fino a ritrovarsi in una strana oasi. Non erano ancora entrati quando il terreno iniziò a muoversi. L’amico che era stato colpito iniziò ad affondare. Era una sorta di palude. Il suo amico si allungò come poté, mettendo a rischio la sua vita, e lo salvò. Proprio allora il ragazzo che era stato colpito e poi salvato scrisse su una pietra: “Il mio migliore amico mi ha salvato la vita”. L’altro lo guardava con curiosità, così gli spiegò: “Tra amici le offese vengono messe per iscritto solo affinché le porti via il vento. I favori, invece, vanno incisi profondamente affinché non
MA GESU' E' VIVO O E' MORTO?
«Ma Gesù è morto o vivo?», chiese la piccola Lucia alla nonna. A dire il vero, era un po' che le frullava in testa questa domanda, il parroco era arrivato alla scuola materna e aveva spiegato a lungo che Gesù era stato crocifisso e sepolto.
La nonna capì molto bene la domanda della sua nipotina, andò ad aprire il vangelo, le lesse alcuni fatti: le donne erano andate al sepolcro il mattino dopo il sabato e avevano trovato il sepolcro vuoto! E proprio lì stava un angelo ad annunciare che Gesù era vivo! È risorto, è glorificato dal Padre che non l'ha lasciato nella tomba! E Lucia era piena di gioia.
Qualche giorno dopo, la nonna si recò con Lucia alla messa domenicale. C'era in mezzo all'altare un prete e tra i banchi poca gente, un po' triste e un po' annoiata. Anche le canzoni che una donna dal primo banco intonava erano basse, lente, cantate da pochi e senza convinzione. Allora Lucia, dopo essersi guardata ben bene in giro, disse alla nonna: «Ma loro lo sanno che Gesù è risorto?»
IL CROCIFISSO COL BRACCIO DESTRO STACCATO
In un’antica cattedrale, appeso ad altezza vertiginosa, c’è un imponente crocifisso d’argento che ha due particolarità. La prima è la corona di spine sul capo di Gesù: è tutta d’oro massiccio tempestato di rubini e il suo valore è incalcolabile. La seconda particolarità è il braccio destro di Gesù: è staccato e proteso nel vuoto.
Una storia ne spiega il motivo. Molti anni fa, una notte, un ladro audace e acrobatico progettò un piano perfetto per impadronirsi della splendida corona d’oro e rubini. Si calò da uno dei finestroni del tetto legato ad una corda e oscillando arrivò al crocifisso.
Ma la corona di spine era fissata molto solidamente e il ladro aveva solo un coltello per tentare di staccarla.
Infilò la lama del coltello sotto la corona e fece leva con tutte le sue forze. Provò e riprovò, sudando e sbuffando. La lama del coltello si spezzò e anche la corda, troppo sollecitata, si staccò dal finestrone.
Il ladro si sarebbe sfracellato sul pavimento, ma il braccio del crocifisso si mosse e lo afferrò al volo.
Al mattino i sacrestani lo trovarono lassù, sano e salvo, tenuto saldamente e affettuosamente dal Crocifisso.
LA MASCHERA DI ARLECCHINO
Tanti anni fa, in una scuola di Bergamo, tutti gli scolari parlavano allegramente di una mascherata da organizzare di li a poco.
Solo un ragazzino se ne stava in disparte tutto solo e pensieroso: la sua mamma era povera e non poteva comprargli un costume per andare con gli altri compagni alla festa. Un suo amico lo notò così triste e in disparte e poiché era suo amico capì il motivo di quella tristezza e solitudine. Allora chiamo gli altri compagni di classe e disse loro:
– Il nostro amico se ne sta da solo in disparte, triste, perché sicuramente non potrà partecipare alla festa dato che la mamma non ha i soldi per comperargli un costume . Non possiamo lasciarlo da solo….che amici siamo?Portiamogli tutti un pezzo del nostro costume, così la sua mamma potrà fargli un vestito per la mascherata.
Tutti i compagni approvarono con entusiasmo questa proposta e il giorno dopo portarono a scuola ognuno un pezzo di stoffa degli avanzi che erano serviti per fare i loro costumi. avanzi di ogni colore.
Li offrirono al loro amico che li portasse a casa dalla mamma. La mamma cucì insieme con tanta pazienza tutti quei pezzetti di stoffa, e il bambino potè andare alla festa in maschera con gli altri amici contento e sereno.
Il suo costume di tanti colori piacque a tutti e, quel giorno, il più ammirato e festeggiato fu proprio lui il povero Arlecchino.
PERFAVORENONPREPOTENZA
Quattro bambini che abitavano nella città di Perfavore ogni mattina, nel recarsi a scuola, passavano accanto ad una alta siepe che li divideva dal paese di Prepotenza. Certo…è ovvio, come tutte i bambini morivano dalla curiosità di sapere che cosa ci fosse mai al di là del verde, ma non si poteva disubbidire né trasgredire nella loro città , perché …per favore… era stato chiesto a tutti di osservare quella regola . A volte avevano cercato di tendere l’orecchio ma niente, nessun rumore proveniva dall’altra parte. Quel giorno , il nonno di Piero, uno dei quattro bambini, aveva avuto l’arduo compito di far loro da baby setter e, a malincuore, ma molto a malincuore aveva accettato…del resto gli era stato chiesto per favore e quindi…Già da un po’ il nonno sonnecchiava nascosto dietro il giornale e con gli occhiali sbilenchi sul naso e così i quattro furboni ebbero un’idea
-Nonno…Nonnooooo!!!
– Ma che volete?? Per favore abbassate la voce- non sono mica sordo.-
– Scusaci nonno…-e poi abbassando il tono sempre più –possiamo oltrepassare la siepe-e poi di nuovo urlando- per fare una passeggiatina ?-
Il nonno con un occhio chiuso e l’altro pure sbuffò
- certo, certo, buona passeggiata-
In un attimo i quattro furono davanti alla siepe e in un secondo al di là di essa.il caos che regnava era mille miglia distante dalla serenità del loro paese: flotte di bambini si rincorrevano facendosi dispetti e smorfie . Signore chiassose litigavano alle casse dei supermercati e vecchietti tremuli si minacciavano con i bastoni e le bombette per un posto in panchina al parco.
– Ma che diamine, pensarono i bambini, possibile che non trovavano il modo di accordarsi e l’unica comunicazione era la prepotenza?
Proprio in quel momento , videro arrivare dalla stradina laterale, una vecchina con le sue buste della spesa colme da scoppiare. Contemporaneamente , di corsa, sbucarono due ragazzetti che si rincorrevano insultandosi e patapum la vecchina finì a gambe all’aria e la piazza si riempì di arance , insalate e chi più ne ha ne metta.. Piero e i suoi amici si precipitarono per raccattare tutta la spesa, poi, con galanteria le porsero il braccio per aiutarla a rialzarsi. La donnina li guardava stupita e anche tutti i presenti li osservarono attentamente dalla testa ai piedi – che strani personaggi!- – Perfino dalla finestra della scuola una strana maestra isterica che urlava contro il chiasso dei suoi alunni restò a fissarli da lontano, mentre uno strano sorrisetto le si stampò sul viso.
Che silenzio tutt’intorno, nell’aula come nelle vie. La gente si sorrideva e stringeva la mano, era stata bella quella scena appena vissuta, li aveva ammutoliti e fatto riflettere. Bastava non scontrarsi per incontrarsi, capirsi , parlarsi e vivere sereni. Da quel giorno quel paese divenne un’oasi di pace, le persone capirono cosa voleva dire rispettare se stessi e gli altri e tutto grazie a quei quattro monelli arrivati lì per caso.
Ci pensarono a lungo, ma presto la decisione fu presa…Via la siepe, via ogni confine, gli uomini sono fatti per collaborare non per dividersi e così nacque il paesone di Perfavorenonprepotenza. – Se vi ci trovate a passare, fermatevi …si sta veramente bene!.
LA LUCCIOLA DI NATALE
Ad adorare il bambino Gesù nella capanna di Betlemme insieme con gli altri animali accorsero anche gli insetti. Per non spaventare il piccolo restarono in gruppo sulla soglia. Ma Gesù, con un gesto delle rosee manine, li chiamò ed essi si precipitarono, portando i loro doni. L'ape offrì il suo dolce miele, la farfalla la bellezza dei suoi colori, la formica un chicco di riso, il baco un filo di finissima seta. La vespa, non sapendo che cosa offrire, promise che non avrebbe più punto nessuno, la mosca si offrì di vegliare, senza ronzare, il sonno di Gesù. Solo un insetto piccolissimo non osò avvicinarsi al bambino, non avendo nulla da offrire. Se ne stette timido sulla porta; eppure avrebbe tanto voluto dirgli il suo amore. Ma, mentre con il cuore grosso e la testa bassa stava per lasciare la capanna, udì una vocina: «E tu, piccolo insetto, perché non ti avvicini?». Era Gesù stesso che glielo domandava. Allora, commosso l'insetto volò fino alla culla e si posò sulla manina del bambino. Era così emozionato per l'attenzione ricevuta, che gli occhi gli si colmarono di lacrime. Scivolando giù, una lacrima cadde proprio sul piccolo palmo di Gesù. «Grazie», sorrise il bambinello. «Questo è un regalo bellissimo». In quel momento un raggio di luna, che curiosava dalla finestra, illuminò la lacrima. «Ecco è diventata una goccia di luce!», disse Gesù sorridendo. «Da oggi porterai sempre con te questo raggio luminoso. E ti chiamerai lucciola perché porterai con te la luce ovunque andrai».
TRE ANZIANI CON LA BARBA BIANCA
Un giorno una donna uscì di casa e vide tre vecchi con la barba bianca come la neve. Erano tutti seduti davanti al suo cortile. La donna non riconobbe gli uomini ma parlò loro dicendo: - "Buongiorno, non mi sembra di conoscervi, ma dovrete avere fame. Per favore, entrate a mangiare un boccone." Uno degli uomini anziani chiese alla donna se suo marito fosse a casa. La donna confusa rispose che suo marito era ancora fuori, dopo essere uscito la mattina presto per andare al lavoro. Lo sconosciuto la informò che non potevano entrare in casa sua se lui non c'era. Alla sera il marito della donna tornò a casa e lei gli raccontò l'accaduto. Il marito disse alla moglie di invitarli subito ad entrare. Ella allora uscì e invitò gli uomini ad entrare, ma il vecchio che le aveva parlato prima, le disse che solo uno di loro poteva entrare. - "Perché?", chiese lei. L'uomo anziano le rispose che uno dei suoi amici era Ricchezza, l'altro era Successo. Il suo nome era invece Amore. Poi l'anziano aggiunse: - "Per favore, discuti con tuo marito quale di noi volete invitare nella vostra casa." La donna rientrò e parlò con suo marito. Lui suggerì di invitare Ricchezza. Egli voleva che la loro casa fosse piena di ricchezza. La moglie tuttavia non era d'accordo e suggerì che invitassero Successo. Ascoltando la loro conversazione, la loro nuora propose la sua idea. Ella chiese ai suoceri se non fosse più saggio invitare Amore, così che la loro casa potesse essere piena di emozioni. Pensando che questo suggerimento potesse essere il migliore, sia il marito che la moglie accettarono. La donna allora uscì e chiese agli anziani uomini quale di loro fosse l'Amore. Poi gli chiese educatamente di essere loro ospite quella sera. Quando l'Amore si alzò e iniziò ad avvicinarsi all'ingresso della casa, anche gli altri due amici lo seguirono. Confusa e sorpresa, la donna chiese: - "Abbiamo scelto di invitare solo lui, perché anche voi lo seguite?" I tre uomini risposero assieme: - "Se aveste invitato rispettivamente il Successo o la Ricchezza, gli altri due sarebbero rimasti fuori. Invitare l'Amore significa invitare anche gli altri". Dove c'è l'Amore, ci sono anche Successo e Ricchezza!
Lettera di un anziano padre al figlio
Se un giorno mi vedrai vecchio, se mi sporco quando mangio e non riesco a vestirmi, abbi pazienza con me: ricorda il tempo che ho trascorso ad insegnarti queste cose.
Se quando parlo con te ripeto sempre le stesse cose, non mi interrompere. Ascoltami. Quando eri piccolo dovevo raccontarti ogni sera la stessa storia finché non ti addormentavi.
Quando non voglio lavarmi, non biasimarmi e non farmi vergognare. Ricordati quando dovevo correrti dietro inventando delle scuse perché non volevi fare il bagno.
Quando vedi la mia ignoranza per le nuove tecnologie, dammi il tempo necessario e non guardarmi con quel sorrisetto ironico. Ho speso molta pazienza per insegnarti l'ABC e le prime addizioni.
Quando ad un certo punto non riesco a ricordare o perdo il filo del discorso, dammi il tempo necessario per ricordare, e se non ci riesco non ti innervosire: la cosa più importante non è quello che dico, ma il mio bisogno di essere lì con te ed averti davanti a me mentre mi ascolti.
Quando le mie gambe stanche non mi consentono di tenere il tuo passo non trattarmi come fossi un peso. Vieni verso di me con le tue mani forti nello stesso modo con cui io l'ho fatto con te quando muovevi i tuoi primi passi.
Quando dico che vorrei essere morto, non arrabbiarti. Un giorno comprenderai che cosa mi spinge a dirlo. Cerca di capire che alla mia età non si vive, si sopravvive.
Un giorno scoprirai che nonostante i miei errori ho sempre voluto il meglio per te e che ho tentato di spianarti la strada.
Dammi un po' del tuo tempo, dammi un po' della tua pazienza, dammi una spalla su cui poggiare la testa, allo stesso modo in cui io l'ho fatto per te.
Aiutami a camminare, aiutami ad arrivare alla fine dei miei giorni con amore, affetto e pazienza. In cambio io ti darò sorrisi e l'immenso amore che ho sempre avuto per te.
Ti amo, figlio mio.
Un’escursione in montagna
Erano circa le 3 del mattino quando la vecchia guida alpina, andò a svegliare Giovanni., architetto, tutto lavoro e mondanità, il signor Giovanni aveva deciso di trascorrere parte delle sue vacanze in montagna e l'ascensione ad una prestigiosa vetta gli era sembrato quanto di meglio si potesse in futuro presentare agli amici, che, come lui, non avevano mai fatto niente del genere. La guida chiamò il suo cliente per iniziare l'ascensione, dopo colazione. Occorreva stare vicini perché la notte era senza luna e ad ogni passo Giovanni rischiava di incespicare tra i sassi. Questa gita già gli piaceva poco; era silenzioso e si limitava a qualche avvertimento. Quando con il fiato grosso Giovanni stava per chiedere all'accompagnatore di fermarsi per riposare, si arrivò ai bordi del ghiacciaio. In quattro e quattr'otto si trovò infagottato, legato come al guinzaglio, armato di piccozza e ramponi e sempre dietro a questo montanaro instancabile dai modi bruschi che ormai rimpiangeva di aver contattato. "Quanta fatica per un po' di gloria con gli amici", pensava tra sé Giovanni. Il capo di Giovanni era stato fino ad allora chino sul terreno quasi a fare economia di ogni briciola di energia ma l'impulso a gridare con rabbia alla guida di fermarsi e tornare, gli aveva fatto alzare il viso ed ecco che la visione di un'alba incantevole gli troncò il comando in gola. L'ammirazione per quanto aveva dinanzi gli alleviava la fatica e il freddo tanto che quasi se ne dimenticò.La guida, che conosceva bene la psicologia dei clienti di città, decise allora una sosta per uno spuntino e nemmeno allora cessò lo stupore di Giovanni che di continuo girava il capo e gustava la vista di quei colossi di roccia e ghiaccio, il silenzio incorrotto, il cielo così terso e turchese. La guida, consapevole di ciò, rideva sotto i baffi. Il cammino riprese, la fatica pure, ma da quel momento accettata serenamente. La vetta fu raggiunta e allora Rodolfo e la guida guardandosi dritto negli occhi sorrisero e si strinsero la mano."Se fossi stato più accondiscendente con lei", disse la guida, "certamente mi avrebbe pregato di tornare indietro". "Grazie, perché adesso questa pace e questa gioia appartengono anche a me", rispose Giovanni. Giovanni non scattò neppure una foto perché nulla poteva raffigurare quanto adesso aveva così
LA VECCHIA ZIA ADA
La vecchia zia Ada, quando fu molto vecchia, andò ad abitare al ricovero dei vecchi, in una stanzina con tre letti, dove già stavano due vecchine, vecchie quanto lei. La vecchia zia Ada si scelse subito una poltroncina accanto alla finestra e sbriciolò un biscotto secco sul davanzale.
- Brava, così verranno le formiche, - dissero le altre due vecchine, stizzite.
Invece dal giardino del ricovero venne un uccellino, beccò di gusto il biscotto e volò via.- Ci sono i vostri uccellini, - dicevano allora le vecchine alla vecchia zia Ada, con un po' d'invidia. E lei correva, per modo di dire, a passettini passettini, fino al suo cassettone, scovava un biscotto secco tra il cartoccio del caffè e quello delle caramelle all'anice e intanto diceva:
- Ecco, - borbottarono le vecchine, - che cosa ci avete guadagnato? Ha beccato ed è volato via. Proprio come i nostri figli che se ne sono andati per il mondo, chissà dove, e di noi che li abbiamo allevati non si ricordano più.
La vecchia zia Ada non disse nulla, ma tutte le mattine sbriciolava un biscotto sul davanzale e l'uccellino veniva a beccarlo, sempre alla stessa ora, puntuale come un pensionante, e se non era pronto bisognava vedere come si innervosiva.
Dopo qualche tempo l'uccellino portò anche i suoi piccoli, perché aveva fatto il nido e gliene erano nati quattro, e anche loro beccarono di gusto il biscotto della vecchia zia Ada, e venivano tutte le mattine, e se non lo trovavano facevano un gran chiasso.
- Pazienza, pazienza, sono qui che arrivo.
- Eh, - mormoravano le altre vecchine, - se bastasse mettere un biscotto sul davanzale per far tornare i nostri figli. E i vostri, zia Ada, dove sono i vostri?
La vecchia zia Ada non lo sapeva più: forse in Austria, forse in Australia; ma non si lasciava confondere, spezzava il biscotto agli uccellini e diceva loro: - Mangiate, su, mangiate, altrimenti non avrete abbastanza forza per volare.
E quando avevano finito di beccare il biscotto: - Su, andate, andate. Cosa aspettate ancora? Le ali sono fatte per volare. Le vecchine crollavano il capo e pensavano che la vecchia zia Ada fosse un po' matta, perché vecchia e povera com'era aveva ancora qualcosa da regalare e non pretendeva nemmeno che le dicessero grazie.
Poi la vecchia zia Ada morì, e i suoi figli lo seppero solo dopo un bel po' di tempo, e non valeva piú la pena di mettersi in viaggio per il funerale. Ma gli uccellini tornarono per tutto l'inverno sul davanzale della finestra e protestavano perché la vecchia zia Ada non aveva preparato il biscotto.
UN PEZZO DI LEGNO
C'è un uomo che tiene appeso in salotto, nel posto d'onore, uno strano oggetto. Quando qualcuno gli chiede il perché di quella stranezza racconta:
Il nonno, una volta mi accompagnò al parco. Era un gelido pomeriggio d'inverno. Il nonno mi seguiva e sorrideva, ma sentiva un peso. Il suo cuore era malato, già molto malandato. Volli andare verso lo stagno. Era tutto ghiacciato, compatto! "Dovrebbe essere magnifico poter pattinare", urlai, "vorrei provare a rotolarmi e scivolare sul ghiaccio almeno una volta!". Il nonno era preoccupato. Nel momento in cui scesi sul ghiaccio, il nonno disse: "Stai attento...". Troppo tardi. Il ghiaccio non teneva e urlando caddi dentro. Tremando, il nonno spezzò un ramo e lo allungò verso di me. Mi attaccai e lui tirò con tutte le sue forze fino ad estrarmi dal crepaccio di ghiaccio. Piangevo e tremavo. Mi fecero bene un bagno caldo e il letto, ma per il nonno questo avvenimento fu troppo faticoso, troppo emozionante. Un violento attacco cardiaco lo portò via nella notte. Il nostro dolore fu enorme. Nei giorni seguenti, quando mi ristabilii completamente, corsi allo stagno e ricuperai il pezzo di legno. È con quello che il nonno aveva salvato la mia vita e perso la sua! Ora, fin tanto che vivrò, starà appeso su quella parete come segno del suo amore per me!
Per questo motivo noi cristiani oggi ci inginocchiamo dinanzi a quel legno, cui si è appeso l'Amore-Gesù; per questo teniamo nelle nostre case un "pezzo di legno" a forma di croce... Per ricordare come si ama, e a chi dobbiamo guardare per amare
LA DUNA E LA NUVOLA
Una nuvola giovane giovane (ma, è risaputo, la vita delle nuvole è breve e movimentata) faceva la sua prima cavalcata nei cieli, con un branco di nuvoloni gonfi e bizzarri. Quando passarono sul grande deserto del Sahara, le altre nuvole, più esperte, la incitarono: «Corri,corri! Se ti fermi qui sei perduta». La nuvola però era curiosa, come tutti i giovani, e si lasciò scivolare in fondo al branco delle nuvole, così simile ad una mandria di bisonti sgroppanti. «Cosa fai? Muoviti!», le ringhiò dietro il vento. Ma la nuvoletta aveva visto le dune di sabbia dorata: uno spettacolo affascinante. E planò leggera leggera Le dune sembravano nuvole d’oro accarezzate dal vento. Una di esse le sorrise. «Ciao», le disse. Era una duna molto graziosa, appena formata dal vento,
che le scompigliava la luccicante chioma.
«Ciao. Io mi chiamo Ola», si presentò la nuvola. «Io, Una», replicò la duna.«Come è la tua vita lì giù?». «Bè... Sole e vento. Fa un po’ caldo ma ci si arrangia. E la tua?». «Sole e vento... grandi corse nel cielo». «La mia vita è molto breve. Quando tornerà il gran vento, forse sparirò».
«Ti dispiace?». «Un po’. Mi sembra di non servire a niente». «Anch’io mi trasformerò presto in pioggia e cadrò. È il mio destino». La duna esitò un attimo e poi disse: «Lo sai che noi chiamiamo la pioggia Paradiso?». «Non sapevo di essere così importante», rise la nuvola. «Ho sentito raccontare da alcune vecchie dune quanto sia bella la pioggia. Noi ci copriamo di cose meravigliose che si chiamano erba e fiori». «Oh, è vero. Li ho visti».
«Probabilmente io non li vedrò mai», concluse mestamente la duna. La nuvola rifletté un attimo, poi disse: «Potrei pioverti addosso io...». «Ma morirai...».«Tu però, fiorirai», disse la nuvola e si lasciò cadere, diventando pioggia iridescente. Il giorno dopo la piccola duna era fiorita.
I DUE AMICI
Una volta due grandi amici decisero di attraversare il deserto. Si fidavano l’un l’altro e sentivano di non poter chiedere una compagnia migliore. A causa della stanchezza, però, i due ebbero una divergenza di opinioni.
Dal disaccordo passarono a una discussione e da questa a un dibattito acceso. La situazione degenerò al punto che uno degli amici colpì l’altro che cadde a terra. Chi aveva colpito si rese subito conto dell’errore commesso e dispiaciuto profondamente gli chiese perdono. Allora, colui che era stato colpito scrisse sulla sabbia: “Il mio miglior amico mi ha colpito”. Riconciliati e rappacificati proseguirono il cammino fino a ritrovarsi in una strana oasi. Non erano ancora entrati quando il terreno iniziò a muoversi sotto i loro piedi: era una palude con sabbie mobili. L’amico che era stato colpito iniziò ad affondare. Era una sorta di palude dove si affondava pian piano fino a venire ingoiatati totalmente. Il suo amico si allungò come poté, mettendo a rischio la sua vita, e dopo vari tentatici sempre piìù difficili, lo salvò.
Proprio allora il ragazzo che era stato colpito e poi salvato scrisse su una pietra: “Il mio migliore amico mi ha salvato la vita”. L’altro lo guardava con curiosità, così gli spiegò: “Tra amici le offese vengono messe per iscritto solo affinché le porti via il vento. I favori, invece, vanno incisi profondamente affinché non vengano mai dimenticati”.
LEGGENDA DI CAPODANNO
Era la sera dell’ultimo dell’anno. Fuori, una bianca coltre di neve copriva i tetti e le strade del paese. La luna splendeva, ma soffiava un vento gelido e ogni cosa era irrigidita dal gelo.
Tutti gli abitanti erano al caldo, nelle loro case, e stavano festeggiando il Capodanno insieme ai propri cari, davanti a una bella tavola imbandita.
Solo Tobia non festeggiava in compagnia. Era l’uomo più ricco del paese, e stava facendo ciò che amava di più al mondo: in un cantuccio della sua bella casa, aveva tirato fuori il forziere e contava il suo denaro, tante monete d’oro sonante. Era concentrato nella sua occupazione preferita quando udì bussare alla porta.
Di malavoglia, coprì le monete con un panno e andò ad aprire. Si trovò davanti un povero uomo, magro e curvo, che se ne stava inginocchiato sulla neve e tremava di freddo: non aveva neanche un mantello con cui coprirsi.
Tobia, molto contrariato, gli chiese: – Chi siete? Che cosa fate qui? Che cosa volete?– Sono un povero viandante che si è perso – rispose l’uomo. – Vi chiedo la carità di poter dormire nel vostro fienile.
– Io non permetto a nessuno di dormire nel mio fienile. Andate via! Io non posso aiutarvi.
– Datemi almeno un pezzo di pane!
– Non ho pane. Andatevene!
– Datemi un sacco o uno straccio per coprirmi: muoio di freddo!
– Non ho nessuno straccio.
– Non mi reggo neanche in piedi: non avreste un bastone a cui appoggiarmi?
– Non ho neanche bastoni! Via, via!
E così dicendo Tobia chiuse la porta in faccia al pover’uomo. Quindi si girò e tornò tutto contento dalle sue monete. Però, quando alzò il panno con cui le aveva coperte, non trovò più nulla: si erano trasformate in foglie secche!
Tobia uscì subito per cercare quel viandante, ma di lui non c’era traccia. E per il resto dei suoi giorni, continuò a vagare per le vie del paese chiamandolo e raccontando a tutti la sua disgrazia.
Da allora, nelle valli del comasco tutti appendono alla porta della propria casa un bastone e un sacco con dentro un tozzo di pane.
LA MANGIATOIA
Ciao! Mi presento: sono “un recipiente in legno, muratura o cemento, a forma di cassa, in cui si dispone il foraggio per il bestiame”. Così sta scritto di me sul dizionario. Ed è vero, perché sono una mangiatoia, anche se credo di non essere solo questo. Sapete, è una soddisfazione poter contenere buon fieno per buoi, cavalli e asini e averli ogni tanto così vicini; vi potrà sembrare strano, ma sentire il loro odore mi fa gustare il sapore della vita che scorre là fuori. Quegli animali hanno lavorato nei campi e per strada, hanno trascinato aratri e trainato carrozze e lo hanno fatto col caldo e col freddo, sotto il sole e nella pioggia. Io invece rimango qui ad aspettarli, non nasco per fare il loro lavoro; sono fatta di un legno fragile, e se mi bagno poi sto male. Gli anni passano anche per me: ma non voglio lamentarmi, anzi, sono fiera che ogni volta ritornati in stalla l’attenzione di quei grandi lavoratori sia tutta per me. Certo, buoi, cavalli e asini guardano la biada che il contadino ha preparato per loro. Ma lui l’ha messa qui dentro, e non altrove. E allora non scrivete che sono soltanto “recipiente” ma vassoio o cabarè! Oppure plateau, come fossi un piatto colmo di formaggi e miele da servire nelle vostre locande! Nel corso degli anni mi sono accorta di un dettaglio curioso: il falegname che mi ha costruita mi ha pensata aperta, cioè senza coperchio. Avete mai visto una mangiatoia con un tappo? E sapete perché mi ha fatta così? Voleva rimanessi aperta a qualsiasi cosa si posasse qui dentro! Bella idea, così non avrò mai una vita monotona o ripetitiva, perché non posso sapere adesso a chi potrò servire domani, ma resto pronta a farlo. Sono una mangiatoia, ovvio, ma sono anche desiderio di novità e attesa di futuro. E non vedo l’ora di conoscerlo! Conoscere Chi? Quel Bambino che è il futuro del mondo e la salvezza di ogni uomo.
IL VASO ROTTO
Una anziana donna possedeva due grandi vasi, appesi alle estremità di un lungo bastone che portava bilanciandolo sul collo. Uno dei due vasi aveva una crepa, mentre l’altro era intero. Così alla fine del lungo tragitto dalla fonte a casa, il vaso intero arrivava sempre pieno, mentre quello con la crepa arrivava sempre mezzo vuoto. Per oltre due anni, ogni giorno l’anziana donna riportò a casa sempre un vaso e mezzo di acqua. Ovviamente il vaso intero era fiero di se stesso, mentre il vaso rotto si vergognava terribilmente della sua imperfezione e di riuscire a svolgere solo metà del suo compito. Dopo due anni, finalmente trovò il coraggio di parlare con l’anziana donna, e dalla sua estremità del bastone le disse: “Mi vergogno di me stesso, perché la mia crepa ti fa portare a casa solo metà dell’acqua che prendi”.L’anziana donna sorrise “Hai notato che sul tuo lato della strada ci sono sempre dei fiori, mentre non ci sono sull’altro lato? Questo perché solo dal tuo lato c’è la crepa e disperdi un po’ d’acqua, io ho piantato dei semi di fiori lungo la strada. Così ogni giorno, tornando a casa, tu innaffi i fiori. Per due anni io ho potuto raccogliere dei fiori che hanno rallegrato la mia casa e la mia tavola. Se tu non fossi così come sei, non avrei mai avuto la loro bellezza a rallegrare la mia vita”. Ciascuno di noi ha il suo lato debole. Ma sono le crepe e le imperfezioni che ciascuno di noi ha, che rendono la nostra vita insieme interessante e degna di essere vissuta.. Devi solo essere capace di prendere ciascuna persona per quello che è, scoprendo il suo lato positivo.
Il cacciatore e il picchio
C’era una volta, in un piccolo bosco, una casetta abitata da un cacciatore, che, armato di fucile, ogni giorno, andava nel bosco alla ricerca di qualche animale da cacciare.
In quel bosco c’era anche un picchio, che d’accordo con tutti gli altri animali, quando vedeva che il cacciatore stava arrivando nel bosco, iniziava a picchiettare contro il tronco di un albero, e così facendo avvisava tutti gli altri animali, che si davano alla fuga, o si nascondevano dalla vista dell’uomo.
Solo qualche animale, distratto, rimaneva li dov’era, e finiva preda del cacciatore.
E fin qui tutto filava liscio, per il bosco, non era un problema, fornire da mangiare al cacciatore.
La natura regolava in questo modo la vita degli animali e degli uomini, ma un giorno il cacciatore seccato dal picchio che faceva scappare tutti gli animali, lo scovò e lo uccise, sparandogli un colpo con il suo fucile e soddisfatto tornò a casa.
Quel giorno, commise un grave errore.
Nel bosco vi fu una riunione di tutti gli animali, che non avendo più la vedetta, decisero di abbandonare quel bosco e trovare casa altrove.
Successe, che il cacciatore, non trovò più niente da mangiare, il bosco senza gli animali, pian piano morì e anche il cacciatore dopo un po’ morì di fame.
Morale della favola, non bisogna mai esagerare nello sfruttare la natura, perché anche noi ne facciamo parte, se lei muore, noi facciamo lo stesso.
IL GIOVANE GAMBERO
Un giovane gambero pensò: “Perchè nella mia famiglia tutti camminano all’indietro? Voglio imparare a camminare in avanti, come le rane, e mi caschi la coda se non ci riesco”.
Cominciò ad esercitarsi di nascosto, tra i sassi del ruscello natio, e i primi giorni l’impresa gli costava moltissima fatica. Urtava dappertutto, si ammaccava la corazza e si schiacciava una zampa con l’altra. Ma un po’ alla volta le cose andarono meglio, perchè tutto si può imparare, se si vuole.
Quando fu ben sicuro di sé, si presentò alla sua famiglia e disse: “State a vedere”. E fece una magnifica corsetta in avanti. “Figlio mio”, scoppiò a piangere la madre, “ti ha dato di volta il cervello? Torna in te, cammina come tuo padre e tua madre ti hanno insegnato, cammina come i tuoi fratelli che ti vogliono tanto bene”. I suoi fratelli però non facevano che sghignazzare. Il padre lo stette a guardare severamente per un pezzo, poi disse: “Basta così. Se vuoi restare con noi, cammina come gli altri gamberi. Se vuoi fare di testa tua, il ruscello è grande: vattene e non tornare più indietro”.
Il bravo gamberetto voleva bene ai suoi, ma era troppo sicuro di essere nel giusto per avere dei dubbi: abbracciò la madre, salutò il padre e i fratelli e si avviò per il mondo.
Il suo passaggio destò subito la sorpresa di un crocchio di rane che da brave comari si erano radunate a far quattro chiacchiere intorno a una foglia di ninfea.
“Il mondo va a rovescio”, disse una rana, “guardate quel gambero e datemi torto, se potete”.
“Non c’è più rispetto”, disse un’altra rana.
“Ohibò, ohibò”, disse una terza.
Ma il gamberetto proseguì diritto, è proprio il caso di dirlo, per la sua strada. A un certo punto si sentì chiamare da un vecchio gamberone dall’espressione malinconica che se ne stava tutto solo accanto a un sasso.
“Buon giorno”, disse il giovane gambero. Il vecchio lo osservò a lungo, poi disse: “Cosa credi di fare? Anch’io, quando ero giovane, pensavo di insegnare ai gamberi a camminare in avanti. Ed ecco che cosa ci ho guadagnato: vivo tutto solo, e la gente si mozzerebbe la lingua piuttosto che rivolgermi la parola. Fin che sei in tempo, dà retta a me: rassegnati a fare come gli altri e un giorno mi ringrazierai del consiglio”.
Il giovane gambero non sapeva cosa rispondere e stette zitto. Ma dentro di sé pensava: “Ho ragione io”.
E salutato gentilmente il vecchio riprese fieramente il suo cammino.
Andrà lontano? Farà fortuna? Raddrizzerà tutte le cose storte di questo mondo? Noi non lo sappiamo, perchè egli sta ancora marciando con il coraggio e la decisione del primo giorno.
Possiamo solo augurargli, di tutto cuore: “Buon viaggio!”.
Storia vera
Un giovane ebreo, Ermanno Coen, trovandosi a Parigi per studiare musica, si era dato al gioco e alla dissipazione. Bisognoso di denaro per soddisfare le sue brutte passioni, trovò un posto di suonatore d’organo nella Chiesa di Santa Valeria, per tutto il mese di maggio.
Le prime sere egli suonava con totale indifferenza, da semplice mestierante. Ma senza volerlo, stando lì era ‘ costretto a sentire le prediche che ogni sera si tenevano sulla Madonna. Di sera in sera, ascoltando, il suo spirito cominciò a turbarsi e il suo cuore a commuoversi.
Alla fine del mese di maggio pensò seriamente di prepararsi al Battesimo per diventare cattolico. E poco dopo si fece battezzare in quella stessa Chiesa. Insieme, ebbe il dono della vocazione religiosa; divenne religioso carmelitano e morì in concetto di santità. Quante grazie da quel mese di maggio fatto fortuitamente!
Il problema della fede
Un vecchietto che da molto tempo si era allontanato dalla Chiesa, un giorno andò dal parroco per cercare di farsi aiutare a riscoprire la sua adesione al vangelo e alla Chiesa. Sperava di essere aiutato finalmente a risolvere i suoi problemi di fede.
Quando entrò nella canonica, c’era già una persona a parlare con il parroco. Si decise di attendere e rimase in piedi. Il sacerdote intravide il vecchietto dalla porta socchiusa in piedi nel corridoio, e subi- to, uscì a portargli una sedia.
Quando l’altro si congedò, il parroco fece entrare il vecchio signore.
Conosciuto il problema, il parroco gli parlò a lungo e dopo un fitto dialogo,l’anziano, soddisfatto, disse che sarebbe tornato alla Chiesa.
Il parroco, contento, ma anche un po’ meravigliato, gli chiese:
“Senta, mi dica, di tutto il nostro incontro, qual è l’argomento che più l’ha convinta a tornare a Dio?”
“Il fatto che sia uscito a portarmi una sedia!” rispose il vecchietto.
Pensieri per adulti
Il piccolo fiammifero
Centomila persone sono radunate nel Coliseum di Los Angeles, in California. All’improvviso Padre Keller, che parlava a quell’immensa assemblea, si interruppe: «Non abbiate timore; adesso si spegneranno le luci!». Piombò l’oscurità sullo stadio; ma attraverso gli altoparlanti, la voce di Padre Keller continuò: «Io accenderò un fiammifero. Tutti quelli che lo vedono brillare, dicano semplicemente “sì”». Appena quel puntino di fuoco si accese nel buio, tutta la folla gridò: «Sì». Padre Keller seguitò a spiegare: «Ecco: una qualsiasi azione di bontà può brillare in un mondo di tenebre. Per quanto piccola, non passa mai nascosta agli occhi di Dio. Ma voi potete fare di più. Tutti quelli che hanno un fiammifero, l’accendano!». Di colpo l’oscurità venne rotta da uno sconfinato tremolio di piccoli fuochi. Se molti uomini di poco conto, in molti posti di poco conto, facessero cose di poco conto, la
ARRIVARONO SOLO IN TRE
Forse non tutti sanno che un tempo, quando non esistevano i computer, tutto il sapere del mondo era concentrato nella mente di sette persone sparse nel mondo: i famosi Sette Savi, i sette sapienti che conoscevano i come, i quando, i perché, i dove di ogni cosa che accadeva. Erano talmente importanti che erano considerati dalla gente dei re, anche se non lo erano; per questo erano chiamati Re Magi.
Nell'anno O, studiando le loro pergamene segrete, tutti e sette i Magi giunsero ad una strabiliante conclusione: proprio in una notte di quell'anno sarebbe apparsa una straordinaria stella che li avrebbe guidati alla culla dei Re dei re. Da quel momento passarono ogni notte a scrutare il cielo e a fare preparativi, finché davvero una notte nel cielo apparve una stella luminosissima; i Sette Savi partirono dai sette angoli del mondo dove si vivevano e si misero a seguire la stella che indicava loro la strada. Tutto quello che dovevano fare era non perderla mai di vista.
Ognuno dei sette Magi, tenendo gli occhi fissi sulla stella, che poteva vedere giorno e notte, cavalcava per raggiungere il Monte delle Vittorie, dove era stabilito che i sette savi dovevano incontrarsi per formare una sola carovana.
Olaf, re Mago della Terra dei Fiordi, attraversò le catene dei monti di ghiaccio e arrivò presto in una valle verde, dove gli alberi erano carichi di frutti squisiti e il clima dolce e riposante; il mago vi si trovò così bene che decise di costruirsi un castello. Così, ben presto, si scordò della stella.
Igor, re Mago del Paese dei Fiumi, era un giovane forte e coraggioso, abile con la spada e molto generoso. Attraversando il regno del re Rosso, un sovrano crudele e malvagio, decise di riportare la pace e la giustizia per quel popolo maltrattato; così divenne il difensore dei poveri e degli oppressi, perse di vista la stella e non la cercò più.
Yen Hui era il re Mago del Celeste Impero, era uno scienziato e un filosofo, appassionato di scacchi. Un giorno arrivò in una splendida città dove uno studioso teneva una conferenza sulle origini dell'universo; Yen Hui non riuscì a resistere, lo sfidò ad un dibattito pubblico, si confrontarono su tutti i campi del sapere e per ultimo iniziarono una memorabile partita a scacchi che durò una settimana. Quando si ricordò della stella era troppo tardi: non riuscì più a trovarla.
Lionel era un re Mago poeta e musicista, che veniva dalle terre dell'Ovest e viaggiava solo con strumenti musicali. Una sera fu ospitato per la notte da un ricco signore di un pacifico villaggio. Durante il banchetto in suo onore, la figlia del signore danzò e cantò per gli invitati e Lionel se ne innamorò perdutamente; così finì per pensare solo a lei e nel suo cielo la stella miracolosa scomparve piano piano.
Solo Melchior, re dei Persiani, Balthasar, re degli Arabi e Gaspar, re degli Indi, abituati alla fatica e ai sacrifici, non diedero mai riposo ai loro occhi, per non rischiare di perdere di vista la stella che segnava il cammino, certi che essa li avrebbe guidati alla culla del Bambino, venuto sulla terra a portare pace e amore. Così ognuno di loro arrivò puntuale all'appuntamento al Monte delle Vittorie, si unì ai compagni e insieme ripresero la loro marcia verso Betlemme, guidati dalla stella cometa, più luminosa che mai.
LA FORESTA CHE BRUCIA
Un giorno, in un bosco molto frequentato scoppiò un incendio. Tutti fuggirono, presi dal panico. Rimasero soltanto un cieco e uno zoppo. In preda alla paura, il cieco si stava dirigendo proprio verso il fronte dell'incendio.
«Non di là!» gli gridò lo zoppo. «Finirai nel fuoco!».
«Da che parte, allora?» chiese il cieco.
«Io posso indicarti la strada» rispose lo zoppo «ma non posso correre. Se tu mi prendi sulle tue spalle, potremmo scappare tutti e due molto più in fretta e metterci al sicuro».
Il cieco seguì il consiglio dello zoppo. E i due si salvarono insieme.
Se sapessimo mettere insieme le nostre esperienze, le nostre speranze e le nostre delusioni, le nostre ferite e le nostre conquiste, ci potremmo molto facilmente salvare tutti.
LA PIETRA AZZURRA
ll gioiellerie era seduto alla scrivania e guardava distrattamente la strada attraverso la vetrina del suo elegante negozio. Una bambina si avvicinò al negozio e schiacciò il naso contro la vetrina. I suoi occhi color del cielo si illuminarono quando videro uno degli oggetti esposti. Entrò decisa e puntò il dito verso uno splendido collier di turchesi azzurri. È per mia sorella. Può farmi un bel pacchetto regalo?”. Il padrone del negozio fissò incredulo la piccola cliente e le chiese: “Quanti soldi hai?”. Senza esitare, la bambina, alzandosi in punta di piedi, mise sul banco una scatola di latta, la aprì e la svuotò. Né vennero fuori qualche biglietto di piccolo taglio, una manciata di monete, alcune conchiglie, qualche figurina. “Bastano?” disse con orgoglio. Voglio fare un regalo a mia sorella più grande. Da quando non c’è più la nostra mamma, è lei che ci fa da mamma e non ha mai un secondo di tempo per se stessa. Oggi è il suo compleanno e sono certa che con questo regalo la farò molto felice. Questa pietra ha lo stesso colore dei suoi occhi”.
L’uomo entra nel retro e ne riemerge con una stupenda carta regalo rossa e oro con cui avvolge con cura l’astuccio. “Prendilo” disse alla bambina. “Portalo con attenzione”.
La bambina partì orgogliosa tenendo il pacchetto in mano come un trofeo. Un’ora dopo entrò nella gioielleria una bella ragazza con la chioma color miele e due meravigliosi occhi azzurri.
Posò con decisione sul banco il pacchetto che con tanta cura il gioiellerie aveva confezionato e dichiarò:
“Questa collana è stata comprata qui?”.
“Si signorina”.
“E quanto è costata?”.
“I prezzi praticati nel mio negozio sono confidenziali: riguardano solo il mio cliente e me”.
“Ma mia sorella aveva solo pochi spiccioli. Non avrebbe mai potuto pagare un collier come questo!”.
Il gioiellerie prese l’astuccio, lo chiuse con il suo prezioso contenuto, rifece con cura il pacchetto regalo e lo consegnò alla ragazza.
“Sua sorella ha pagato. Ha pagato il prezzo più alto che chiunque possa pagare: ha dato tutto quello che aveva
La nuvola e i fiori
Un giorno d’estate, sopra il lago di un altopiano, nacque una nuova nuvola. Bianca e soffice la nuvola iniziò a muoversi leggera sopra il cielo, trasportata dal vento che si divertiva a giocare con lei facendola roteare a zonzo nel cielo.
Tutto continuò così finché un giorno la nuvola vide qualcosa che catturò la sua attenzione e chiese al vento di fermare i loro giochi. Rimase immobile sopra un campo fiorito.
- Fermati amico vento!
- Cosa succede amica nuvola?
- Guarda che meraviglia i colori di questo campo!
- Sono fiori e sono belli, però adesso continuiamo a giocare, dai!
- Vorrei restare ancora un po’ qui ad osservarli.
- Va bene, io intanto vado a soffiare altrove! Ciao!
Così rimase ferma ad osservarli. Li osservava e riosservava e più li guardava e più ne rimaneva incantata. Passarono minuti, che divennero ore che si trasformarono in giorni. La sua forma cambiava, ma non si spostava mai da dove si trovava.
Le altre nuvole, sue amiche, quando la videro le andarono incontro salutandola ed invitandola a seguirle, ma lei rifiutò.
- Magari più tardi, ora non riesco a staccare gli occhi dai colori bellissimi di questi fiori!
- Ma cosa dici? Cosa c’è di più bello che sentirsi trasportati dal vento? Noi stiamo andando tutte ad est, verso quella grande montagna. Questa sera ci sarà una grande festa, con tuoni e lampi bellissimi. Se decidessi di raggiungerci, sarai la benvenuta!
Così la salutarono e si allontanarono da lei. Man mano che il tempo passava i fiori appassivano fino a quando persero tutti i loro colori.
La nuvola ne fu talmente rattristata che iniziò a piangere. Le sue lacrime divennero pioggia che bagnarono il terreno assetato dalla siccità estiva.
Da lontano le nuvole sue amiche la videro piangere e la raggiunsero preoccupate.
- Perché piangi?
- Piango perché questi fiori bellissimi sono sfioriti!
Contagiate dalla sua tristezza anche le amiche iniziarono a piangere intorno a lei. La terra finalmente riuscì a dissetarsi.
Accadde un altro miracolo. Dalle piantine spuntarono piccoli boccioli che si aprirono in nuovi fiori. Le nuvole smisero di piangere. Allora da sopra quei fiori si sollevarono dei colori, che poco alla volta si allungarono fino a raggiungere il cielo. La terra e i fiori stavano ringraziando le nuvole regalando loro l’arcobaleno, che racchiudeva dentro di sé i colori che la nostra giovane nuvola si era fermata ad ammirare.
In seguito le nuvole tornarono spesso a visitare quella terra per dissetarla e ricevere in cambio nuovi arcobaleni.
LA BICICLETTA DI DIO
In una calda sera di fine estate, un giovane si recò da un vecchio saggio: “Maestro, come posso essere sicuro che sto spendendo bene la mia vita? Come posso essere sicuro che tutto ciò che faccio è quello che Dio mi chiede di fare?”. Il vecchio saggio sorrise compiaciuto e disse: “Una notte mi addormentai con il cuore turbato, anch’io cercavo, inutilmente, una risposta a queste domande. Poi feci un sogno. Sognai una bicicletta a due posti. Vidi che la mia vita era come una corsa con una bicicletta a due posti: un tandem. E notai che Dio stava dietro e mi aiutava a pedalare. Ma poi avvenne che Dio mi suggerì di scambiarci i posti. Acconsentii e da quel momento la mia vita non fu più la stessa. Dio rendeva la mia vita più felice ed emozionante. Che cosa era successo da quando ci scambiammo i posti? Capii che quando guidavo io, conoscevo la strada. Era piuttosto noiosa e prevedibile. Era sempre la distanza più breve tra due punti. Ma quando cominciò a guidare lui, conosceva bellissime scorciatoie, su per le montagne, attraverso luoghi rocciosi a gran velocità a rotta di collo. Tutto quello che riuscivo a fare era tenermi in sella! Anche se sembrava una pazzia, lui continuava a dire: «Pedala, pedala!». Ogni tanto mi preoccupavo, diventavo ansioso e chiedevo: «Signore, ma dove mi stai portando?». Egli si limitava a sorridere e non rispondeva. Tuttavia, non so come, cominciai a fidarmi. Presto dimenticai la mia vita noiosa ed entrai nell’avventura, e quando dicevo: «Signore, ho paura…», lui si sporgeva indietro, mi toccava la mano e subito una immensa serenità si sostituiva alla paura. Mi portò da gente con doni di cui avevo bisogno; doni di guarigione, accettazione e gioia. Mi diedero i loro doni da portare con me lungo il viaggio. Il nostro viaggio, vale a dire, di Dio e mio. E ripartimmo. Mi disse: «Dai via i regali, sono bagagli in più, troppo peso». Così li regalai a persone che incontrammo, e trovai che nel regalare ero io a ricevere, e il nostro fardello era comunque leggero. Dapprima non mi fidavo di lui, al comando della mia vita. Pensavo che l’avrebbe condotta al disastro. Ma lui conosceva i segreti della bicicletta, sapeva come farla inclinare per affrontare gli angoli stretti, saltare per superare luoghi pieni di rocce, volare per abbreviare passaggi paurosi. E io sto imparando a star zitto e pedalare nei luoghi più strani, e comincio a godermi il panorama e la brezza fresca sul volto con il delizioso compagno di viaggio, la mia potenza superiore. E quando sono certo di non farcela più ad andare avanti, lui si limita a sorridere e dice: «Non ti preoccupare, guido io, tu pedala!»”.
IL BAMBINO E LE STELLE MARINE
Una tempesta terribile si abbatté sul mare. Lame affilate di vento gelido trafiggevano l’acqua e la sollevavano in ondate gigantesche che si abbattevano sulla spiaggia come colpi di maglio, o come vomeri d’acciaio aravano il fondo marino scaraventando le piccole bestiole del fondo, i crostacei e i piccoli molluschi, a decine di metri dal bordo del mare.
Quando la tempesta passò, rapida come era arrivata, l’acqua si placò e si ritirò. Ora la spiaggia era una distesa di fango in cui si contorcevano nell’agonia migliaia e migliaia di stelle marine. Erano tante che la spiaggia sembrava colorata di rosa.
Il fenomeno richiamò molta gente da tutte le parti della costa. Arrivarono anche delle troupe televisive per filmare lo strano fenomeno. Le stelle marine erano quasi immobili. Stavano morendo. Tra la gente, tenuto per mano dal papà, c’era anche un bambino che fissava con gli occhi pieni di tristezza le piccole stelle di mare. Tutti stavano a guardare e nessuno faceva niente.
All’improvviso, il bambino lasciò la mano del papà, si tolse le scarpe e le calze e corse sulla spiaggia. Si chinò, raccolse con le piccole mani tre stelle del mare e, sempre correndo, le portò nell’acqua. Poi tornò indietro e ripeté l’operazione.
Dalla balaustrata di cemento, un uomo lo chiamò. “Ma che fai, ragazzino?”. “Ributto in mare le stelle marine. Altrimenti muoiono tutte sulla spiaggia” rispose il bambino senza smettere di correre.
“Ma ci sono migliaia di stelle marine su questa spiaggia: non puoi certo salvarle tutte. Sono troppe!” gridò l’uomo. “E questo succede su centinaia di altre spiagge lungo la costa! Non puoi cambiare le cose!”
Il bambino sorrise, si chinò a raccogliere un’altra stella di mare e gettandola in acqua rispose: “Ho cambiato le cose per questa qui”.
L’uomo rimase un attimo in silenzio, poi si chinò, si tolse scarpe e calze e scese in spiaggia. Cominciò a raccogliere stelle marine e a buttarle in acqua. Un istante dopo scesero due ragazze ed erano in quattro a buttare stelle marine nell’acqua. Qualche minuto dopo erano in cinquanta, poi cento, duecento, migliaia di persone che buttavano stelle di mare nell’acqua.
Così furono salvate tutte.
Cuore di mamma
Buongiorno,maestro!
Dissero gli alunni.
Buongiorno a voi.
Rispose il maestro .Gli alunni si sedettero e presero i libri pronti ad iniziare la lezione.
Ragazzi - esordì il maestro - oggi faremo una lezione senza libri:useremo le parole e i nostri pensieri. Proviamo a parlare dell’Immenso:che cos’è per voi?
Gli alunni,un po’ sorpresi,ad uno ad uno espressero il loro pensiero.
L’Immenso è tutto ciò che non è possibile misurare.
Esordì il più bravo.
Esatto,rispose il maestro,e quindi a cosa vi fa pensare?
Al mare.
Iniziarono a dire alzando la mano.
Al cielo … Al mondo … All’ amore…Al dolore…Alla gioia…Al deserto…Alla ricchezza…Alla povertà…Alla speranza…
Quasi tutti avevano risposto,tranne lui, il più timido. Era un bambino molto educato,rispettoso e al contempo riservato; la sua famiglia era povera ma onesta e per questo a volte veniva deriso.
Allora il maestro lo spronò a parlare:
Coraggio,che cos’è per te l’immenso?
E lui con voce sommessa,rispose:
Il cuore.
A sentir ciò i suoi compagni scoppiarono a ridere e, oltre che povero, lo presero per ignorante ma il maestro,arrabbiatosi, con un solo sguardo li zittì e lo fece continuare.
Maestro, il cuore è in grado di contenere tutte le cose già dette e tanto altro ancora perché ne contiene l’essenza. Il cuore è come un pozzo senza fondo,più cose contiene e più vive e non importa se siamo grandi o piccini, la sua capienza può essere ugualmente infinita …
Il maestro, commosso dall’intensità di queste parole, lo abbracciò forte esclamando:
Mai lezione, nella mia vita,fu più bella di questa!!Dove hai letto tutte queste cose, in quale libro?
Non abbiamo soldi per comprare libri, disse, le ho lette nel CUORE DI MAMMA …perché il suo cuore è un libro bellissimo, dalle pagine indefinit!!!!
IL BRUCO DI PASQUA
La storia si svolge a Gerusalemme all'epoca di Gesù, Davide è un bambino che sta studiando con i compagni la storia di Isaia, quando sul suo piede vede un piccolo bruco, subito lo nasconde nella sua mano, lo porta a casa e gli costruisce un bel cestino e lo chiama come il profeta Isaia. Dopo un pò di giorni, va dal padre al centro di Gerusalemme e decide di prendere una foglia di palma per
coprire il cestino dal calore del sole, ma sente una gran confusione e vede tanta genTe con in mano foglie di palma e dopo poco scorge un signore su un asinello che viene accolto con grida di gioia, lo chiamano Gesù, e capisce che deve essere una persona importante, ma si chiede:" E' importante e cavalca un asino? " Dopo un po' di tempo Davide guardando nel cestino non vede più il suo amico Isaia e comincia a cercarlo dappertutto, ma nulla si siede e piange disperato, così lo ritrova la mamma che lo consola dicendo che Isaia non è scappato, ma è chiuso in quel piccolo bozzolo attaccato alle pareti del cestino. Davide dice allora è morto? Ma la mamma risponde che non è cosi e che fra qualche tempo quando Dio vorrà egli uscirà dal bozzolo e diventerà una bellissima farfalla. Passano dei giorni quando sempre tra la folla sente gridare, ma questa volta non sono grida di gioia, ma insulti verso un uomo che porta una Croce, i soldati romani lo spingono e lo fanno cadere e il suo viso è proprio vicino a Davide che spaventato si accorge che è lo stesso uomo che cavalcava l'asinello, rimane rattristato e corre dalla sua mamma per capire che sta succedendo. La mamma gli racconterà che Gesù è un uomo buono a cui alcuni non hanno creduto e lo hanno fatto uccidere su una Croce. Dopo tre giorni la domenica mattina Davide si sveglia e vede nel suo cestino una grande e Meravigliosa farfalla,è Isaia piu bello di prima, la farfalla si ferma quasi a salutarlo e poi comincia a volare Davide la segue chiamandola, e si ritrova in un giardino e vede Isaia posarsi sulla spalla di un uomo dagli abiti bianchi e luminosi e guardandolo si accorge che è Gesù l'uomo che aveva visto portare la croce, Isaia vola via in alto. Sempre Davide ricorderà Isaia e quell'uomo Gesù, e saprà che anche se non vedrà più Isaia la farfalla rimarra’ nel suo cuore e anche se non incontrerà più Gesù sa che lo accompagnerà nella sua vita per sempre.
LA FAVOLA DEL COLIBRI'
Un giorno nella foresta scoppiò un grande incendio. Di fronte all’avanzare delle fiamme, tutti gli animali scapparono terrorizzati mentre il fuoco distruggeva ogni cosa senza pietà.
Leoni, zebre, elefanti, rinoceronti, gazzelle e tanti altri animali cercarono rifugio nelle acque del grande fiume, ma ormai l’incendio stava per arrivare anche lì.
Mentre tutti discutevano animatamente sul da farsi, un piccolissimo colibrì si tuffò nelle acque del fiume e, dopo aver preso nel becco una goccia d’acqua, incurante del gran caldo, la lasciò cadere sopra la foresta invasa dal fumo. Il fuoco non se ne accorse neppure e proseguì la sua corsa sospinto dal vento.
Il colibrì, però, non si perse d’animo e continuò a tuffarsi per raccogliere ogni volta una piccola goccia d’acqua che lasciava cadere sulle fiamme.
La cosa non passò inosservata e ad un certo punto il leone lo chiamò e gli chiese: “Cosa stai facendo?”. L’uccellino gli rispose: “Cerco di spegnere l’incendio!”.
Il leone si mise a ridere: “Tu così piccolo pretendi di fermare le fiamme?” e assieme a tutti gli altri animali incominciò a prenderlo in giro. Ma l’uccellino, incurante delle risate e delle critiche, si gettò nuovamente nel fiume per raccogliere un’altra goccia d’acqua.
A quella vista un elefantino, che fino a quel momento era rimasto al riparo tra le zampe della madre, immerse la sua proboscide nel fiume e, dopo aver aspirato quanta più acqua possibile, la spruzzò su un cespuglio che stava ormai per essere divorato dal fuoco.
Anche un giovane pellicano, lasciati i suoi genitori al centro del fiume, si riempì il grande becco d’acqua e, preso il volo, la lasciò cadere come una cascata su di un albero minacciato dalle fiamme.
Contagiati da quegli esempi, tutti i cuccioli d’animale si prodigarono insieme per spegnere l’incendio che ormai aveva raggiunto le rive del fiume.
Dimenticando vecchi rancori e divisioni millenarie, il cucciolo del leone e dell’antilope, quello della scimmia e del leopardo, quello dell’aquila dal collo bianco e della lepre lottarono fianco a fianco per fermare la corsa del fuoco.
A quella vista gli adulti smisero di deriderli e, pieni di vergogna, incominciarono a dar manforte ai loro figli. Con l’arrivo di forze fresche, bene organizzate dal re leone, quando le ombre della sera calarono sulla savana, l’incendio poteva dirsi ormai domato.
Sporchi e stanchi, ma salvi, tutti gli animali si radunarono per festeggiare insieme la vittoria sul fuoco.
Il leone chiamò il piccolo colibrì e gli disse: “Oggi abbiamo imparato che la cosa più importante non è essere grandi e forti ma pieni di coraggio e di generosità. Oggi tu ci hai insegnato che anche una goccia d’acqua può essere importante e che «insieme si può» spegnere un grande incendio. D’ora in poi tu diventerai il simbolo del nostro impegno a costruire un mondo migliore, dove ci sia posto per tutti, la violenza sia bandita, la parola guerra cancellata, la morte per fame solo un brutto ricordo”.
Il topolino
Attraverso il buchino del muro il topolino guardava il contadino e la moglie che stavano aprendo un pacchetto. "Che cibo ci sarà?" - si chiedeva il topolino che rimase sconvolto nel vedere che era una trappola per topi. Il topolino fece il giro della fattoria avvisando tutti: - "C'è una trappola per topi in casa! C'è una trappola per topi in casa!" Il pollo alzò la testa e disse: "Signor Topo, capisco che è una cosa grave per te, ma non mi riguarda. Non mi preoccupa affatto." Il topolino andò dal maiale dicendogli, "C'è la trappola per topi in casa! C'è la trappola per topi in casa!" Il maiale con empatia disse: -"mi dispiace molto, Signor Topo, ma non c'è nulla che io possa fare, eccetto pregare. Ti assicuro che sarai fra le mie preghiere." Il topolino allora andò dalla mucca: -"C'è una trappola per topi in casa! C'è una trappola per topi in casa!" La mucca disse, "Ohh.. Sig. Topo, mi dispiace per te ma a me non disturba." Quindi, il topolino tornò in casa, con la testa bassa, molto scoraggiato, per affrontare da solo la fatidica trappola. Durante la notte sentirono uno strano rumore che echeggiò per la casa, come quello di una trappola che afferra la sua preda. La moglie del contadino si alzò subito per vedere cosa avrebbe trovato nella trappola. Nel buio, non vide che era un serpente velenoso con la coda bloccata nella trappola. Il serpente morsicò la moglie del contadino che dovette portarla d'urgenza all'ospedale, con la febbre alta. Come molti sanno, nella cultura contadina, la febbre si cura con una zuppa di pollo fresco, quindi il contadino con il suo coltellone uscì nel pollaio per rifornirsi con l'ingrediente principale della zuppa. La malattia della moglie però non passava e così tanti amici vennero a trovarla per starle vicino. La casa era piena e per nutrire tutti, il contadino dovette macellare il maiale. Ben presto la moglie morì e tanta gente venne al suo funerale tanto che il contadino dovette macellare la mucca per offrire il pranzo a tutti. Il topolino dal buchino del muro guardò il tutto con grande tristezza.La prossima volta che sentite che qualcuno sta affrontando un qualche problema e pensate che non vi riguardi, ricordate che quando uno di noi viene colpito, siamo tutti a rischio. Siamo tutti coinvolti in questo viaggio chiamato vita. Prendersi cura gli uni degli altri è un modo per incoraggiarci e sostenerci a vicenda. "Quando senti suonare la campana non chiederti per chi suona. Essa suona anche per te".
Il sasso inutile
C’era una volta su una strada un sasso che non serviva a niente.
Era un bel sasso, di forma tondeggiante, grosso più o meno come la testa di un uomo, di un bel grigio-azzurro. Ma nessuno lo degnava di uno sguardo. Un sasso è solo un sasso, a chi può interessare? Al principio spuntava appena dalla terra al centro di una strada che portava in città. Quasi tutti quelli che passavano di là inciampavano. Qualcuno si accontentava di lanciare colorite imprecazioni, altri maledicevano il povero sasso. Gli zoccoli ferrati dei cavalli lo colpivano violentemente, facendo sprizzare sciami di scintille che brillavano nella notte. Il sasso era sempre più triste. Che razza di vita era mai la sua! Un giorno una carrozza che procedeva veloce per la strada ebbe un impatto così violento con il povero sasso da lasciargli un segno ben visibile, che sembrava una ferita. Nell’urto ebbe la peggio la ruota, che si spezzo. Il vetturino, furibondo, con un ferro cavò il sasso e lo scagliò lontano. Il sasso rotolò malinconicamente per un po’ e si arrestò fra altri sassi nella scarpata.
“Ci mancavi solo tu, sei uno sborbio!”, gli gridarono gli altri sassi. “Quanto sei pesante, ciccione!”, gli dissero due pietre piatte e sottili. Se le pietre avessero lacrime, il sasso sarebbe scoppiato in un pianto desolato.
Sprofondò in un silenzio pieno di angoscia e di tristezza. Solo una lumaca lo prese in simpatia e gli lasciò per ricordo una scia luccicante di bava. Il povero sasso desiderò sprofondare nel terreno e sparire per sempre. Ma un mattino due mani robuste lo sollevarono, “Questo serva a me!”, disse una voce. “E gli altri?”, chiese un uomo, “possono servire anche loro. Raccoglieteli”. Mentre gli altri sassi venivano gettati in un carro. Il sasso tondeggiante fece il viaggio nella bisaccia dell’uomo. Quando uscì, si trovò in un cantiere brulicante di operai. Tutti erano all’opera per innalzare una magnifica costruzione, che, pure incompleta, già svettava nel cielo. E i muri, le possenti arcate, le guglie che svettavano nel cielo, tutto era formato da pietre grigio-azzurre come lui. “Questo è il paradiso!” pensò il sasso, che non aveva mai visto niente di più bello. Le mani dell’uomo passarono sulla superficie del sasso con una ruvida carezza. ”Finirai lassù, anche tu, amico mio - disse la voce. – Ho un progetto magnifico per te. Dovrai soffrire un po’, ma ne varrà la pena”. Il sasso venne portato in un angolo dove un gruppo di uomini stava scolpendo figure di santi di pietra. Una delle statue era senza testa. L’uomo la indicò e disse: ”Ho trovato la testa per quello!”. Sfiorò nuovamente il sasso con le mani e continuò: ”E’ perfetto. Sembra fatto apposta, e anche questa piccola fenditura mi ha fatto venire un’idea…”. Al sasso pareva di sognare: nessuno lo aveva mai definito “perfetto” Subito dopo però fu stretto in una morsa e uno strumento acuminato cominciò a ferirlo senza pietà. L’uomo lo scalpellava con vigore e perizia. Il dolore era forte, ma non durò molto. Il sasso inutile si trasformò nella magnifica testa di un santo che fu collocata sulla facciata della cattedrale. Era la statua che tutti notavano e additavano per una particolarità: tutti gli altri erano seri e aggrondati, quello era l’unico santo sorridente.
L’artista aveva trasformato la ferita provocata dalla ruota del carro in un magnifico sorriso. Il sorriso pieno di pace e felicità del sasso che aveva trovato il suo posto.
IL SOLE BIRICHINO
Agosto aveva maltrattato il prato, con nubi, burrasche, temporali.
Il sole faceva raramente una sua visita e tutti i fiori pregavano per un suo raggio.
Anche per un fiore tra loro che pareva molto debole, quasi in fin di vita.
Un mattino il sole, si annunciò prima con un raggio tra le nubi, poi tutto con il suo calore e splendore.
Ma quel fiore voleva proprio morire.
“Non sai quanto sia preziosa la vita” fece l’astro. Ma il piccolo fiore non ne volle sapere...si chinò a terra sperando di morire...
“Allora adesso lo vedrai”, disse il sole e si nascose dietro una vetta e il fiore soffrendo cercò il suo calore con la corolla.
Da dietro la roccia il sole non uscì fino a quando un’esile voce supplicò: “ti prego grande sole donami i tuoi raggi, perché mi tratti così?”
“Io non vi tratto male, anzi. Chiedete il mio conforto e poi, tu non mi vuoi”
“Scusa amico mio”, fece il piccolo fiore “cosa posso fare per te?”.
“Ringraziare il cielo per la vita che continua e accogliermi meglio”.
“Ma tu sei il benvenuto fece la primula, dà al nostro amico il tempo di riprendersi”
“Oh guardalo ora, il fiore colorato!”
Aveva aperto la corolla al sole ed era splendido.
“Gioite per i piccoli contrattempi della vita, sarete più forti” fece l’astro.
Il sole decise di fare altre volte visita al prato per rallegrare i fiori, e l’estate continuò per la gioia della natura.
E Dio non fa a volte così anche con noi?
LA LEGGENDA DEL GIRASOLE
C'era una volta uno splendido giardino. Vi sbocciavano fiori meravigliosi d'ogni colore e ricchi di profumo.
Tutte le persone che lo vedevano restavano ammirate e si fermavano a complimentare ogni varietà per il colore, per la forma, per il profumo. I fiori, lusingati da tanta ammirazione, divennero alteri e superbi. Avvenne che un giorno, tra gli splendidi steli, si affacciasse uno strano fiore. Aveva uno stelo debole e sottile con una corolla troppo grande e pesante, come un disco di bronzo.
Al suo primo apparire, i fiori vicini cominciarono a schernirlo.
- Com'è brutto! Senza armonia, senza corolla di petali. Perchè sei cresciuto qui? Non potevi nascere altrove?
Il povero fiore divenne in poco tempo lo zimbello del giardino. Da ogni aiuola gli arrivavano offese ed esso, senza rispondere, cresceva umilmente, tenendo la corolla rivolta a terra.
Ma il sole, che da tempo osservava quanto avveniva nel giardino, rideva sotto i raggi, e pensava:
- Vedrete, vedrete voi, piccoli smorfiosi! Tu, bel fiore, abbi solo pazienza e sopporta quello che ti dicono!
Rivolse i suoi raggi piccoli sul fiore, lo fece crescere alto alto su tutti e poi gli disse:
- Tu mi hai amato in silenzio e in umiltà. Alza ora la tua corolla e guardami. Ti donerò un raggio.
Il fiore alzò timidamente il capo e intorno al disco di semi, fiorì una corona di petali, gialli come l'oro.
Tutto il grande fiore rise di felicità e guardò riconoscente il sole.
Non ho finito! - esclamò il grande astro. - Porterai il mio nome e gli uomini avranno bisogno dei tuoi petali per tingere le loro stoffe. I tuoi semi daranno l'olio e saranno dolce cibo agli uccelli. Sarai il fiore più luminoso di tutto il giardino.
La guerra delle campane
C’era una volta una guerra, una grande e terribile guerra, che faceva morire molti soldati da una parte e dall’altra. Noi stavamo di qua e i nostri nemici stavano di là, e ci sparavano addosso giorno e notte, ma la guerra era tanto lunga che a un certo punto ci venne a mancare il bronzo per i cannoni, non avevamo più ferro per le baionette, eccetera. Il nostro comandante, lo Stragenerale Bombone Sparone Pestafracassone, ordinò di tirar giù tutte le campane dai campanili e di fonderle tutte insieme per fabbricare un grossissimo cannone: uno solo, ma grosso abbastanza da vincere tutta la guerra con un sol colpo. A sollevare quel cannone ci vollero centomila grù; per trasportarlo al fronte ci vollero novantasette treni. Lo Stragenerale si fregava le mani per la contentezza e diceva: “Quando il mio cannone sparerà i nemici scapperanno fin sulla luna”.
Ecco il gran momento. Il cannonissimo era puntato sui nemici. Noi ci eravamo riempiti le orecchie di ovatta, perchè il frastuono poteva romperci i timpani e la tromba di Eustachio. Lo Stragenerale Bombone Sparone Pestafracassone ordinò: “Fuoco!” Un artigliere premette un pulsante. E d’im- provviso, da un capo all’altro del fronte, si udì un gigantesco scampanio: Din! Don! Dan!
Noi ci levammo l’ovatta dalle orecchie per sentir meglio. “Din! Don! Dan!, tuonava il cannonissimo. E centomila echi ripetevano per monti e per valli: “Din! Don! Dan!
“Fuoco!” gridò lo Stragenerale per la seconda volta: “Fuoco, perbacco!” L’artigliere premette nuovamente il pulsante e di nuovo un festoso concerto di campane si diffuse di trincea in tricea. Pareva che suonassero insieme tutte le campane della nostro patria. Lo Stragenerale si strappava i capelli per la rabbia e continuò a strapparseli fin che gliene rimase uno solo.
Poi ci fu un momento di silenzio. Ed ecco che dall’altra parte del fronte, come per un segnale, rispose un allegro, assordante: Din! Don! Dan!
Perchè dovete sapere che anche il comandate dei nemici, il Mortesciallo Von Bombonen Sparonen Pestrafrakasson, aveva avuto l’idea di fabbricare un connonissimo con le campane del suo paese!
Din! Dan! Tuonava adesso il nostro cannone.
Don! Rispondeva quello dei nemici. E i soldati dei due eserciti balzavano dalle trincee, si correvano incontro, ballavano e gridavano: “Le campane, le campane! E’ festa! E’ scoppiata la pace!”.
Lo Stragenerale e il Mortesciallo salirono sulle loro automobili e corsero lontano, e consumarono tutta la benzina, ma il suono delle campane li inseguiva ancora.
Di Gianni Rodari
LA GARA DEI RANOCCHI
Quel giorno si sarebbe tenuta una famosa competizione di ranocchi. Il primo a raggiungere la sommità della torre sarebbe stato il vincitore.
La folla giunse da ogni parte della città ad ammirare la gara ma non appena iniziò si accorsero di quanto fosse alta quella torre.
I ranocchi cominciarono a saltare con grande determinazione ma tra la folla cominciarono a farsi largo alcuni commenti: “È impossibile. Non ce la faranno mai”.
I ranocchi continuavano con impegno e tenacia a saltare ma tra le persone cominciarono a farsi sempre più forti i dubbi su quella gara. La gente non credeva possibile che i ranocchi potessero raggiungere la cima della torre: “È troppo alta! Non ce la possono fare!”. Alcuni ranocchi udendo tali commenti cominciarono ad abbandonare la competizione, mentre altri continuarono la loro corsa.
Nel frattempo la folla proseguiva con i suoi commenti: “Poveretti, che pena! Non ce la faranno mai!”. Altri ranocchi ascoltando quei commenti si accorsero di quanto fosse realmente alta la torre e seppur con grande dispiacere si ritirarono dalla gara.
Le persone che osservavano la competizione continuavano a commentare a gran voce: “E’ troppo alta, non ce la faranno mai!”.
Di lì a poco tutti i ranocchi si diedero per vinti, tranne uno che, con grande fatica, arrivò fino alla vetta della torre.
Tutti vollero sapere come quel ranocchio avesse fatto a compiere un’impresa così difficile e quando si avvicinarono a lui per chiederglielo fecero una curiosa scoperta: quel ranocchio vincitore… era sordo!
il vecchietto vanitoso
C’era una volta un vecchietto che aveva un grave problema di miopia. Nonostante il suo handicap era un esperto nel valutare le opere df’arte e di questo si vantava con tutti.
Un giorno visitò il Louvre di Parigi con la moglie e alcuni amici, ma nell’entrare inciampò e gli caddero a terra gli occhiali e si ruppero. Dopo l’incidente non sarebbe riuscito a vedere i quadri in maniera nitida e il loro soggetto. Questo però non gli impedì di manifestare le sue vantate competenze di critico d’arte.
Appena entrarono nel primo salone, il vecchietto cominciò a parlare dei quadri in esposizione con paroloni roboanti e grande prosopopea. Fermandosi davanti a quello che pensava fosse il ritratto di un corpo intero, iniziò a sproloquiare e con aria di superiorità disse: “ La cornice è assolutamente inadeguata all’immagine. L’uomo è vestito in modo ordinario e trascurato. L’artista ha commesso un errore imperdonabile, scegliendo un soggetto così volgare e sporco per quel ritratto. E’ una mancanza di rispetto per i visitatori.
Il vecchietto continuò il suo chiacchiericcio senza smettere, finchè sua moglie riuscì ad avvicinarsi e all’orecchio a bassa voce gli disse: “ Mio caro stai guardando uno specchio!”
I DUE ANGELI
Due angeli in viaggio fecero una sosta, per passare la notte nella casa di una famiglia benestante. Questa famiglia si dimostrò scortese e rifiutò di accogliere gli angeli nella camera degli ospiti della casa padronale. Fu loro accordato invece un piccolo posticino nel freddo della cantina. Quando fecero per sdraiarsi sul duro pavimento, l’angelo più anziano vide un buco nella parete e lo riparò. Quando l’angelo più giovane chiese il PERCHE’, l’angelo più anziano rispose:
“Le cose non sempre sono come sembrano."
La notte successiva I due trovarono ospitalità nella casa di un contadino e di sua moglie, molto poveri ma molto ospitali. Dopo aver condiviso con i due angeli il poco mangiare che avevano, il contadino e sua moglie fecero dormire i due angeli non loro letto, che vi dormirono molto bene. Quando il sole illuminò all’indomani tutto il cielo, i due angeli trovarono il contadino e sua moglie in lacrime. La loro unica mucca, il cui latte era il loro unico sostentamento, era stesa morta sul prato. L’angelo più giovane si arrabbiò e chiese all’altro come egli avesse lasciato succedere tutto ciò? “il primo uomo aveva tutto e ciò nonostante l’hai aiutato” disse in tono accusatorio. “La seconda famiglia aveva ben poco e tu gli hai lasciato morire la mucca.”
“Le cose non sempre sono come sembrano” disse l’angelo più anziano.
Quando noi ci riposavamo nella fredda cantina della casa padronale, mi accorsi che c’era dell’oro nel buco della parete. Poiché il proprietario era così ingordo ed avaro e non voleva condividere la sua buona sorte, ho sigillato la parete affinché egli non potesse più trovarlo.
Quando noi dormivamo la notte scorsa nel letto del contadino, vidi venire l’angelo della morte a prendere sua moglie. Al suo posto gli ho dato la mucca.
“Le cose non sempre sono come sembrano.”
Talvolta è proprio quello che succede se le cose non evolvono come dovrebbero. Se tu hai fiducia, devi semplicemente prendere atto del fatto che ogni avvenimento è per te positivo. Potresti non rendertene conto prima
Come trovare amici leali e fedeli
C'era una volta un vecchio saggio. Egli era seduto ai bordi di un'oasi, all'entrata di una città del Medio Oriente.
Un giovane si avvicinò e gli domandò:
- Non sono mai venuto da queste parti. Come sono gli abitanti di questa città?
L'anziano uomo rispose a sua volta con una domanda:
- Come erano gli abitanti della città da cui venivi?
- Egoisti e cattivi. Per questo sono stato contento di partire di là.
- Così sono gli abitanti di questa città - gli rispose il saggio.
Poco dopo un altro giovane si avvicinò all'uomo e gli pose la stessa domanda:
- Sono appena arrivato in questo paese. Come sono gli abitanti di questa città?
L'uomo rispose di nuovo con la stessa domanda:
- Com'erano gli abitanti della città da cui vieni?
- Erano buoni, generosi, ospitali, onesti. Avevo tanti amici e ho fatto molta fatica a lasciarli.
- Anche gli abitanti di questa città sono così. - rispose il vecchio saggio.
Un mercante che aveva portato i suoi cammelli all'abbeveraggio aveva udito le conversazioni. Quando il secondo giovane si allontanò si rivolse al vecchio in tono di rimprovero:
- Come puoi dare due risposte completamente differenti alla stessa domanda posta da due persone?
- Figlio mio - rispose il saggio - ciascuno porta nel suo cuore ciò che è.
Chi non ha trovato niente di buono in passato, non troverà niente di buono neanche qui.
Al contrario, colui che aveva degli amici leali nell'altra città, troverà anche qui degli amici leali e fedeli.
Perché, vedi, ogni essere umano è portato a vedere negli altri quello che è nel suo
IL PEZZO DI PANE
Quando l'anziano dottore morì, arrivarono i suoi tre figli per sistemare l'eredità: i pesanti vecchi mobili, i preziosi quadri e i molti libri. In una finissima vetrinetta il padre aveva conservato i pezzi delle sua memoria: bicchieri delicati, antiche porcellane, pensieri di viaggio e tante altre cose ancora. Nel ripiano più basso, in fondo all'angolo, venne trovato un oggetto strano: sembrava una zolletta dura e grigia. Come venne portata alla luce, si bloccarono tutti: era un antichissimo pezzo di pane rinsecchito dal tempo. Come era finito in mezzo a tutte quelle cose preziose? La donna che si occupava della casa raccontò: Negli anni della fame, alla fine della grande guerra, il dottore si era ammalato gravemente e per lo sfinimento le energie lo stavano lasciando. Un suo collega medico aveva borbottato che sarebbe stato necessario procurare del cibo. Ma dove poterlo trovare in quel tempo?
Un amico del dottore portò un pezzo di pane sostanzioso cucinato in casa, che lui aveva ricevuto in dono. Nel tenerlo tra le mani, al dottore ammalato vennero le lacrime agli occhi. E quando l'amico se ne fu andato, non volle mangiarlo, bensì donarlo alla famiglia della casa vicina, la cui figlia era ammalata. "La giovane vita ha più bisogno di guarire, di questo vecchio uomo", pensò il dottore.
La mamma della ragazza ammalata portò il pezzo di pane donatole dal dottore alla donna profuga di guerra che alloggiava in soffitta e che era totalmente una straniera nel paese. Questa donna straniera portò il pezzo di pane a sua figlia, che viveva nascosta con due bambini in uno scantinato per la paura di essere arrestata.
La figlia si ricordò del dottore che aveva curato gratis i suoi due figli e che adesso giaceva ammalato e sfinito. Il dottore ricevette il pezzo di pane e subito lo riconobbe e si commosse moltissimo. "Se questo pane c'è ancora, se gli uomini hanno saputo condividere tra di loro l'ultimo pezzo di pane, non mi devo preoccupare per la sorte di tutti noi", disse il dottore. "Questo pezzo di pane ha saziato molta gente, senza che venisse mangiato. È un pane santo!".
Chi lo sa quante volte l'anziano dottore avrà più tardi guardato quel pezzo di pane, contemplandolo e ricevendo da esso forza e speranza specialmente nei giorni più duri e difficili!.
I figli del dottore sentirono che in quel vecchio pezzo di pane il loro papà era come più vicino, più presente, che in tutti i costosi mobili e i tesori ammucchiati in quella casa. Tennero quel pezzo di pane, quella vera preziosa eredità tra le mani come il mistero più pieno della forza della vita. Lo condivisero come memoria del loro padre e dono di colui che una volta, per primo,
L'ARROSTO BRUCIATO
Una sera d'inverno, marito e moglie stavano parlando dei loro vicini, che erano più ricchi di loro. "Se potessi avere tutto quello che desidero, sarei di certo più contenta di loro", disse la donna. In quel momento apparve una fata che disse: "Esprimete tre desideri, ma tre soltanto". "Vorrei essere bella, ricca e raffinata" rispose la moglie. "Io vorrei salute, allegria e una vita più lunga" disse il marito. "Perchè vivere a lungo, se si e' poveri?" disse la donna che era enormemente affamata. "Fino a domani pensiamo a quello che ci serve di più e chiediamoglielo" propose l'uomo. "Va bene" disse lei. Il giorno dopo la donna si rivolse alla fata…."Con questo bel fuoco vorrei avere un pezzo di arrosto per la nostra cena! disse la donna senza pensarci. E infatti dalla cappa del camino cadde un pezzo enorme di carne. "Per colpa tua, ora ci restano soltanto due desideri!" disse la moglie inquieta . "Mi fai così arrabbiare che vorrei che ti venisse un bubbone sul naso!" gridò il marito. E infatti così accadde. "Chiederò di diventare ricchissimi così ti faro curare" disse l'uomo. "Sei matto, io voglio che subito il bubbone cada per terra" disse la donna. Il bubbone si staccò e la donna, che era furba, disse al marito: "La fata ci ha voluto insegnare una lezione. E' meglio avere meno voglie e prendere le cose come vengono, senza litigi". E quella sera andarono a letto senza cenare: infatti anche l’arrosto per i loro litigi si era bruciato . .
L'acquila che si credeva una gallina
C’era una volta un contadino che andò nella foresta vicina a casa sua per catturare un uccello da tenere prigioniero. Riuscì a prendere un aquilotto. Lo mise nel pollaio insieme alle galline e lo nutrì a granturco e becchime. Dopo cinque anni, quest’uomo ricevette a casa sua la visita di un naturalista. Mentre passeggiavano per il giardino, il naturalista disse: «Quell’uccello non è una gallina. È un’aquila». «E’ vero», rispose il contadino, «è un’aquila. Ma io l’ho allevata come una gallina, e ora non è più un’aquila. È diventata una gallina come le altre, nonostante le ali larghe quasi tre metri.» «No», obiettò il naturalista. « È e sarà sempre un’aquila. Perché ha un cuore d’aquila, un cuore che un giorno la farà volare verso le alte vette.» «No, no», insistette il contadino. « È diventata una gallina e non volerà mai come un’aquila.
Allora decisero di fare una prova. Il naturalista prese l’animale, lo sollevò bene in alto e sfidandolo gli disse: «Dimostra che sei davvero un’aquila, dimostra che appartieni al cielo e non alla terra, apri le tue ali e vola!» L’aquila, appollaiata sul braccio teso del naturalista, si guardava distrattamente intorno. Vide le galline là, in basso, intente a razzolare. E saltò vicino a loro. Il contadino commentò: «Te l’avevo detto, è diventata una semplice gallina!» «No», insistette di nuovo il naturalista. «È un’aquila. E un’aquila sarà sempre un’aquila. Proviamo di nuovo domani.»
Il giorno dopo, il naturalista e il contadino si alzarono molto presto. Presero l’aquila, la portarono fuori città, lontano dalle case degli uomini, in cima a una montagna. Il sole nascente dorava i picchi delle montagne. Con un gesto deciso, il naturalista sollevò verso l’alto il rapace e gli ordinò: «Dimostra che sei un’aquila, dimostra che appartieni al cielo e non alla terra, apri le tue ali e vola!» L’aquila si guardò intorno. Tremava come se sperimentasse una nuova vita. Ma non volò. Allora il naturalista la tenne ben ferma, puntata proprio nella direzione del sole, in modo che i suoi occhi potessero riempirsi del fulgore dell’astro e della vastità dell’orizzonte. In quel momento, lei apri le sue potenti ali e, con un grido trionfante, si alzò, sovrana, al di sopra di se stessa. Iniziò a volare, a volare verso l’alto, a volare sempre più in alto. Volò… volò… fino a confondersi con l’azzurro del cielo…
NOVE MESI DI ATTESA
Primo mese
Ciao mamma. Eccomi, sono dentro di te. Il mio cuore ha iniziato a battere insieme al tuo ed è una cosa meravigliosa. Il tuo battito è una ninna nanna per me.
Secondo mese
Ciao mammina. Misuro ancora pochi centimetri ma ti sento. Sento la tua voce, quella di papà e dei nonni. Che bello sentirvi! Tu mamma mi rendi felice. Scusami se a volte ti faccio stare male: io non vorrei, ma cresco e devo farmi spazio.
Terzo mese
Ciao mamma. Ora comincio a capire come funzionano i movimenti: muovo i piedini e le manine, tu non mi senti perché sono ancora un fagiolino, ma ti assicuro che io sento te, sento il tuo amore.
Quarto mese
Sto crescendo bene, vero mamma? Non ti do tanti disturbi ed ora sono felice per questo; non voglio farti soffrire, anzi cerco di migliorare il tuo umore. Ti aiuto come posso.
Quinto mese
Ciao mamma. Sei in ansia per me, vero? Non ti preoccupare: ho due manine, due gambe, due occhi che sono uguali ai tuoi. Ho un cuore, ho 20 dita e uno me lo succhio di continuo, almeno ora, perché penso che dopo mi dirai che è un vizio. Oggi vai dal medico, vero mamma? Presto scoprirai se sono un maschio o una femmina. Io lo so già ma purtroppo non posso dirtelo, sai... la timidezza. Tu mi dici sempre che non importa se sarò maschio o femmina e che l'importante è che stia bene. Sei un angelo, mamma.
Sesto mese
Ciao mamma. Ormai faccio le capriole dentro di te. Mi diverto a giocare con te e con papà quando fate la gara a chi prende per primo la mia manina, ma io con furbizia scappo subito!
Settimo mese
Ciao mamma. Qui si comincia a stare stretti. Tu sei stanca, lo so, ma sei paziente con me, mi racconti il mondo esterno, mi racconti del sole e della luna, della pioggia e della neve. Che meraviglia deve essere là fuori! Me ne parli con tanta gioia anche se a volte fai la voce triste per le cose brutte che succedono. Ma io non mi spavento perché so che ci sarete tu e papà a proteggermi. Con te, mamma, mi sento al sicuro.
Ottavo mese
Eccomi mamma. Ci siamo quasi. Io ora sono con la testa in giù, ma sto bene. Ogni tanto spingo per uscire ma non è ancora ora. Credo dovrò aspettare ancora. Grazie mamma per quello che fai, per il peso che porti, per i gonfiori che hai e che sopporti. Il tuo amore verso di me deve essere proprio grande, più di quello che io sono capace di sentire.
Nono mese
Ciao mamma, ci siamo! Manca davvero poco. Che emozione! Mamma, sai, non vedo l'ora di vederti. Non vedo l'ora di stringerti e dirti grazie. Grazie per questi nove mesi passati insieme, cuore nel cuore, sangue nel sangue. Grazie mamma!
Mamma, ci sei? Mi senti?
Sto spingendo e spero di non farti male.
Sento il tuo dolore ma ancora di più il tuo amore per me.
Mamma, eccomi. Ora piango perché vedo la luce. Piango perché ho te. Piango per dirti grazie per questa vita.
I due falchi
Un grande re ricevette in dono due pulcini di falco e si affrettò a consegnarli al maestro di falconeria perché li addestrasse. Dopo qualche mese, il maestro comunicò al re che uno de idue falchi era perfettamente addestrato."E l'altro?" chiese il re. "Mi rincresce,sire, ma l'altro falco si comporta stranamente;forse è stato colpito da una malattia rara, che non siamo in grado di curare. Nessuno riesce a smuoverlo dal ramo dell'albero su cui è stato posato il primo giorno. Un inserviente devearrampicarsi ogni giorno per portargli cibo".Il re convocò veterinari e guaritori ed esperti di ogni tipo, ma nessuno riuscìnell'impresa di far volare il falco. Incaricò del compito i membri della corte, i generali,i consiglieri più saggi, ma nessuno potè far muovere il falco dal suo ramo. Dalla finestra del suo appartamento, il monarca poteva vedere con grande rammarico e tristezza il falco immobile sull'albero, giorno e notte. Un giorno fece proclamare un editto in cui chiedeva ai suoi sudditi un aiuto per il problema. Il mattino seguente il re spalancò la finestra e, con immenso stupore, vide il falco che volava superbamente tra gli alberi del giardino."Portatemi il fautore di questo miracolo"ordinò. Poco dopo gli presentarono un giovane contadino. "Tu hai fatto volare
il falco? Come hai fatto? Sei un mago,per caso?" gli chiese il re. Intimidito e felice, il giovane spiegò: "Non è stato difficile, maestà: io ho semplicemente tagliato il ramo. Il falco si è reso contodi avere le ali ed ha incominciato a volare".A volte, la vita permette a qualcunodi tagliare il ramo a cui siamo tenacemente attaccati, affinché possiamo renderci conto di avere le ali.
CORRERE ATTRAVERSO LA PIOGGIA
Aveva trascorso tutto il giorno con la sua mamma in un supermercato. La bambina, tutta lentiggini, chiara immagine dell'innocenza, non doveva avere più di sei anni. Mentre si preparavano a ripartire cominciò a piovere a catinelle. Eravamo tutti davanti alla porta, a guardare la pioggia. Attendevamo, alcuni con pazienza, altri irritati, che la natura ci riportasse al solito ritmo.
La voce di questa bambina era molto dolce e ruppe il mio sogno ipnotico con questa innocente frase:
- Mamma, corriamo attraverso la pioggia.
- No, amore. Aspettiamo che smetta di piovere, rispose la mamma pazientemente.
La bimba aspettò un altro minuto, e ripeté:
- Mamma, corriamo attraverso la pioggia.
E la mamma le disse:
- Ma se lo facciamo, ci inzupperemo.
- No, mamma, non ci bagneremo. Non è così che hai detto questa mattina a papà?, fu la risposta della bimba.
- Questa mattina? Quando mai ho detto che possiamo passare attraverso la pioggia e non bagnarci?
- Non ti ricordi? Quando parlavi con papà del suo cancro, gli hai detto che se Dio ci fa passare per questa prova può farci passare attraverso qualunque cosa.
Eravamo tutti in assoluto silenzio. Non si sentiva altro che il rumore della pioggia. Nessuno entrò o uscì dal supermercato nei minuti seguenti. La mamma si fermò a pensare un momento su cosa avrebbe dovuto rispondere. Pensò che quello era un momento cruciale nella vita della piccola bambina: era un momento in cui l'innocenza e la fiducia potevano venir motivate in modo da rifiorire, un giorno, in una fede incrollabile.
- "Amore, hai proprio ragione. Corriamo attraverso la pioggia. E se Dio permette che ci inzuppiamo, può darsi che sappia che abbiamo bisogno di una ripulita!"
Uscirono di corsa. Noi stavamo tutti in piedi a guardarle mentre correvano attraverso il parcheggio calpestando tutte le pozzanghere. Si inzupparono. Ma non furono le sole. Le seguirono tutti ridendo come bambini mentre correvano verso le proprie auto. Ho corso anche io. E anche io mi sono inzuppata. Darsi una ripulita può essere divertente!
LA BELLEZZA CHE ABBAGLIA
Ferma vicino a una bancarella osservo un’anziana signora che sceglie della frutta da una cassetta posta in bella mostra sul bancone. E mentre tutte le signore che le stanno vicino, si affannano a scegliere la frutta più bella, più perfetta, lei prende quella con qualche imperfezione. Incuriosita mi avvicino.
Lei continua a riempire il piccolo cestino con la frutta che le altre scartano. Le chiedo: “Come mai sceglie la frutta ‘meno bella’?” Lei mi guarda e sorride. “Perché quella un po’ ammaccata è la più saporita.
La gente è convinta che la frutta più bella esteticamente sia la migliore, invece spesso è il contrario. La frutta è un po’ come le persone. Non sempre la bellezza fisica si accompagna a quella interiore. Anzi spesso la bellezza esteriore ci abbaglia e non ci fa notare la povertà dell’animo. Le persone belle difficilmente restano sole, proprio perché la bellezza colpisce e attrae, invece accade che persone meravigliose siano sole, pur avendo tanto da dare e da dire”.
Ho riflettuto e ho capito che senza neanche rendersene conto e con semplici parole, quella signora ha spiegato il senso della vita. Le chiedo: “Posso abbracciarla?” E lei: “Come no! Ma cosa ho fatto per meritarlo?” “Nulla, all’apparenza. Proprio come diceva lei prima, ciò che all’apparenza sembra banale, può essere prezioso”.
"Lo steccato"
C'era una volta un ragazzino con un brutto carattere. Suo padre gli diede un sacchetto di chiodi e gli disse di piantarne uno nello steccato del giardino ogni volta che avesse perso la pazienza e litigato con qualcuno. Il primo giorno il ragazzo piantò 37 chiodi nello steccato.
In seguito il numero di chiodi piantati nello steccato diminuì gradualmente. Aveva scoperto che era più facile controllarsi che piantare quei chiodi. Finalmente arrivò il giorno in cui il ragazzo riuscì a controllarsi completamente. Lo raccontò al padre e questi gli propose di togliere un chiodo dallo steccato per ogni giorno in cui non avesse perso la pazienza. I giorni passarono e finalmente il ragazzo fu in grado di dire al padre che aveva tolto tutti i chiodi dallo steccato.
Il padre prese suo figlio per la mano e lo portò davanti allo steccato. Gli disse: "Ti sei comportato bene, figlio mio, ma guarda quanti buchi ci sono nello steccato. Lo steccato non sarà più quello di prima. Quando litighi con qualcuno e gli dici qualcosa di brutto, gli lasci una ferita come queste. Puoi piantare un coltello in un uomo e poi estrarlo. Non avrà importanza quante volte ti scuserai, la ferita rimarrà ancora lì. Una ferita verbale fa male quanto una fisica."
IL SILENZIO
Un uomo si recò da un monaco di clausura. Gli chiese: "Che cosa impari mai dalla tua vita di silenzio?". Il monaco stava attingendo acqua da un pozzo e disse al suo visitatore: "Guarda giù nel pozzo! Che cosa vedi?". L'uomo guardò nel pozzo. "Non vedo niente". Dopo un po' di tempo, in cui rimase perfettamente immobile, il monaco disse al visitatore: "Guarda ora! Che cosa vedi nel pozzo?". L'uomo ubbidì e rispose: "Ora vedo me stesso: mi specchio nell'acqua". Il monaco disse: "Vedi, quando io immergo il secchio, l'acqua è agitata. Ora invece l'acqua è tranquilla. E questa l'esperienza del silenzio: l'uomo vede se stesso!". Oggi scegliti un angolo tranquillo e lasciati cullare dal silenzio.
CHI E' IL PIU' FORTE
Un giorno, la pietra disse: «Sono la più forte!». Udendo ciò, il ferro disse: «Sono più forte di te! Lo vuoi vedere?». Subito, i due lottarono fino a quando la pietra fu ridotta in polvere.
Il ferro disse a sua volta: «lo sono il più forte! Udendolo, il fuoco disse: «lo sono più forte te! Lo vuoi vedere?». Allora i due lottarono finché il ferro fu fuso.
Il fuoco disse a sua volta: «lo sì che sono forte!». Udendo ciò, l'acqua disse: «lo sono più forte di te! Se vuoi te lo dimostro». Allora, lottarono fin quando il fuoco fu spento.
L'acqua disse a sua volta: «Sono io la più forte!». Udendola il sole disse: «lo sono più forte ancora! Guarda!». I due lottarono finché il sole fece evaporare l'acqua.
Il sole disse a sua volta: «Sono io il più forte!». Udendolo, la nube disse: «lo sono più forte ancora! Guarda!». I due lottarono finché la nube nascose il sole.
La nube disse a sua volta: «Sono io la più forte!». Ma il vento disse: «lo sono più forte di te! Te lo dimostro». Allora i due lottarono fin quando il vento soffiò via la nube ed essa sparì.
Il vento disse a sua volta: «lo sì, che sono forte!». I monti dissero: «Noi siamo più forti di te! Guarda!». Subito i due lottarono fino a che il vento restò preso tra le catene dei monti.
I monti, a loro volta, dissero: «Siamo i più forti!». Ma sentendoli, l'uomo disse: «lo sono più forte di voi! E, se lo volete vedere...». L'uomo, dotato di grande intelligenza, perforò i monti, impedendo che bloccassero il vento.
Dominando il potere dei monti, l'uomo proclamò: «lo sono la creatura più forte che esista!». Ma poi venne la morte, e l'uomo che si credeva intelligente e tanto forte, con un ultimo respiro, morì.
La morte a sua volta disse: Sono io la più forte! Perché prima o poi tutto muore e finisce nel nulla".
La morte già festeggiava quando, inatteso, venne un uomo e, dopo soli tre giorni dalla morte, risuscitò, vincendo la morte.
Questo Gesù è la pietra che, scartata da voi, costruttori è diventata testata d'angolo.. (Bruno Ferrero)
IL GRANDE BURRONE
Un uomo sempre scontento di sé e degli altri continuava a brontolare con Dio perché diceva: "Ma chi l'ha detto che ognuno deve portare la sua croce? Possibile che non esista un mezzo per evitarla? Sono veramente stufo dei miei pesi quotidiani!"
Il Buon Dio gli rispose con un sogno. Vide che la vita degli uomini sulla Terra era una sterminata processione. Ognuno camminava con la sua croce sulle spalle. Lentamente, ma inesorabilmente, un passo dopo l'altro. Anche lui era nell'interminabile corteo e avanzava a fatica con la sua croce personale.
Dopo un po' si accorse che la sua croce era troppo lunga: per questo faceva fatica ad avanzare. "Sarebbe sufficiente accorciarla un po' e tribolerei molto meno", si disse, e con un taglio deciso accorciò la sua croce d'un bel pezzo.
Quando ripartì si accorse che ora poteva camminare molto più speditamente e senza tanta fatica giunse a quella che sembrava la meta della processione.
Era un burrone: una larga ferita nel terreno, oltre la quale però cominciava la "terra della felicità eterna". Era una visione incantevole quella che si vedeva dall'altra parte del burrone. Ma non c'erano ponti, né passerelle per attraversare. Eppure gli uomini passavano con facilità. Ognuno si toglieva la croce dalle spalle, l'appoggiava sui bordi del burrone e poi ci passava sopra. Le croci sembravano fatte su misura: congiungevano esattamente i due margini del precipizio.
Passavano tutti, ma non lui: aveva accorciato la sua croce e ora era troppo corta e non arrivava dall'altra parte del baratro. Si mise a piangere e a disperarsi: "Ah, se l'avessi saputo...".
La croce è l'unica via di salvezza per gli uomini, l'unico ponte che conduce alla vita eterna.
La storia del cerino
Un Cerino triste e rassegnato, si era messo in disparte su un lato della scatola e una Candela dispiaciuta, incominciò a parlargli:
“La Conosci la Storia del Cerino?” Esclamò la Candela. “No!” Rispose il Cerino. “Caro Cerino, non sai quanto sei importante!” “Parli bene tu!” – Disse con voce rammaricata il Cerino. – “Sei una Candela ti accendesti tempo fa e la tua fiamma ancora brucia nel consumarti lentamente. Io sono un Cerino mi accenderò per poi spegnermi rapidamente, in meno di un istante”
“Cerino c’è verità in quel che dici, ma credimi non conta quanto sia lunga un esistenza, ma è importante il realizzo della sua Essenza”.
Il Cerino ci rifletté su e poi aggiunse:” Tu credi che valga sempre e comunque la pena vivere? Seppur consapevole di nascere per poi morire, di accendersi per poi finire?”.”Ascolta prima la Storia, figlio mio!C’era un volta una Candela, accesa nel buio della notte, essa era una faro per tutti i viandanti del mondo, chiunque poteva scorgerla anche dai luoghi più remoti, quella luce calda e confortante li carezzava ed era davvero tanto ma tanto importante. Una notte come tante, i viandanti ebbero però un amara sorpresa, la luce della Candela si spense. Del resto era un Candela non poteva durare in “Eterno” avrebbero dovuto prevederlo, ed invece nel restare completamente al buio, panico e sconforto avvolsero l’Animo di ogni Viandante. Passarono alcuni istanti che parvero lunghi come secoli, ed improvvisamente qualcuno s’ingegnò, chi ricordò che in soffitta aveva conservata una vecchia candela, chi trovò una torcia, chi un lumino, e ci fu persino chi scoprì nella propria casa un camino, ma ahimè era tutto inutile senza un Cerino. E fu così che nell’affanno di risolvere il danno, qualcuno in tasca trovò un Cerino.
La tristezza avvolse l’animo di quel poverino, conosceva bene la durata di un Cerino, ma la vita del mondo era in declino e allora lo usò per accendere un camino. Da quel camino ogni candela trovò fiamma, ogni cero luce, ogni lume scintilla. E nel giro di qualche secondo, scanditi come secoli dal mondo la luce si riaccese a tutto tondo, e grazie a quel Cerino il mondo venne salvato dal declino”.
“Che storia incantevole Candela, e come si chiamava quel Cerino?”.” Ma come? Quel Cerino lo conosci anche tu, si chiamava Gesù!”
Il Cerino sorrise di una Luce interiore che lo fece accendere con tanto Amore e quella sua breve esistenza la trascorse nel dare realizzo alla sua Essenza.
LE PERSONE CONTANO.... NON LE COSE
Una giovane donna tornava a casa dal lavoro in automobile. Guidava con molta attenzione perché l'auto che stava usando era nuova fiammante, ritirata il giorno prima dal concessionario e comprata con i risparmi soprattutto del marito che aveva fatto parecchie rinunce per poter acquistare quel modello.
Ad un incrocio particolarmente affollato, la donna andò ad urtare il paraurti di un'altra macchina.
La giovane donna scoppiò in lacrime. Come avrebbe potuto spiegare il danno al marito? Il conducente dell'altra auto spiegò che dovevano scambiarsi il numero della patente e i dati del libretto.
La donna cercò i documenti in una grande busta di plastica marrone.
Cadde fuori un pezzo di carta.
In una decisa calligrafia maschile vi erano queste parole: "In caso di incidente..., ricorda, tesoro, io amo te, non la macchina!".
"Lo dovremmo ricordare tutti, sempre. Le persone contano, non le cose. Quanto facciamo per le cose, le macchine, le case, l'organizzazione, l'efficienza materiale! Se dedicassimo lo stesso tempo e la stessa attenzione alle persone,
il mondo sarebbe diverso. Dovremmo ritrovare il tempo per ascoltare, guardarsi negli occhi, piangere insieme, incoraggiarsi, ridere, passeggiare...
Ed è solo questo che porteremo con noi davanti a Dio.
Noi e la nostra capacità d'amare. Non le cose, neanche i vestiti, neanche questo corpo..."
"Quanto pesa un fiocco di neve?"
«Dimmi quanto pesa un fiocco di neve», chiese un passero a una colomba selvatica.
« Nulla più del nulla» fu la risposta.
«In tal caso devo raccontarti una storia» disse il passero. «Sedevo su un ramo di abete, vicino al tronco, quando cominciò a nevicare. Non avendo niente di meglio da fare contai i fiocchi di neve che si posavano sui rametti e sugli aghi del mio ramo. Arrivai a 3.741.952. quando il fiocco di neve numero 3.741.953 cadde sul ramo, nulla più del nulla, il ramo si spezzò».
Detto questo il passero volò via.
La colomba riflettè per un po’ sulla storia e alla fine si disse: «Forse manca solo la voce di un’unica persona perché la pace possa giungere nel mondo».
Con poco, si può fare molto. Iniziamo noi stessi facendo il primo passo per migliorare il mondo intorno a noi.
Che si tratti di un fiocco di neve o del milionesimo cerchio, il messaggio è sempre lo stesso:
Non fermiamoci solo perché non riusciamo a vedere la differenza che stiamo facendo....ANCHE UNO
NATALE AL FRONTE
Era il 1917, uno dei terribili anni della pri- ma guerra mondiale. Sulle trincee spirava un vento gelido e c'era tanta neve. I soldati si muovevano cauti, la notte era senza luna ma serena e tutti avevano paura di incontrare delle pattuglie nemiche, perché il nemico era lì davanti a loro. Ad un tratto un caporale disse sotto voce: “E’ nato” «Eh?» fece un altro senza afferrare l'allusione. «Deve essere la mezzanotte passata perbacco. La notte di Natale! Al mio paese mia moglie e mia madre saranno già in chiesa». Un altro compagno osservò: «Guardate là, c'è una grotta. Andiamo dentro un momento, saremo riparati dal vento». Entrarono nella grotta e il più giovane del gruppo si tolse l'elmetto, si sfilò il passamontagna e si inginocchiò in un cantuccio. Il caporale rimase all'entrata e voltò le spalle all'interno con fare superiore: ma era perché aveva gli occhi pieni di lacrime.
Il più vecchio del gruppo si tolse i guantoni, raccolse un po' di terra umida e manipolandola qualche minuto le diede la forma approssimativa di un bambinello da presepio. Poi stese il fazzoletto nell'elmetto del compagno e vi depose il Gesù bambino. Si scorgeva appena nella fioca luce delle stelle riflessa dalla neve. Il caporale trascurando ogni prudenza tolse di tasca un mozzicone di candela, l'accese e la pose vicino all'insolita culla. Poi sottovoce uno cominciò a recitare: "Padre nostro che sei nei cieli...". Tutti continuarono e avevano il cuore grosso da far male.
Il raccoglimento durò ancora dopo la preghiera. Nessuno voleva spezzare l'atmosfera che si era creata. Improvvisamente alle loro spalle una voce disse.«Fröhliche Weihnachten» (Buon Natale). Una pattuglia austriaca li aveva colti alla sprovvista. Con le armi puntate stavano all'imboccatura della grotta. Mentre i soldati scattavano in piedi la voce ripeté con dolcezza: «Buon Natale ». I nemici abbassarono le armi e guardarono la povera culla. Erano tre giovani e avevano bisogno anche loro di un po' di presepio, anche se povero. Si guardarono confusi, poi si segnarono e cominciarono a cantare «Stille Nacht», la bella melodia natalizia che tutti conoscevano. Tutti si unirono al coro anche se si cantava in lingue diverse. Poi quando si spense l'ultima nota del canto il caporale si avvicinò a uno dei giovani nemici e gli tese la mano che l'altro strinse con calore. Tutti fecero altrettanto, augurandosi il Buon Natale. Poi uno degli austriaci trasse da dentro il pastrano una piccola scarpina da neonato. Doveva essere quella del suo bambino e se la teneva sul cuore, e dopo averla baciata la depose accanto al Bambino Gesù rimanendo per alcuni attimi in preghiera.
Poi si voltò di scatto e seguito dai compagni si allontanò voltando le spalle, senza timore, e scomparve nella notte di quel gelido Natale di guerra.
RICOSTRUIRE L'UOMO
Un bambino ed il suo papà erano seduti sul treno. Il viaggio sarebbe durato un’ora circa. Il padre si siede comodamente e si mette a leggere una rivista per distrarsi.
Ad un certo punto il bambino lo interrompe e domanda: “Cos’è quello, papà?”. L’uomo si volta per vedere quello che gli aveva indicato il bambino e risponde: “E’ una fattoria.” Incomincia di nuovo a leggere quando il bambino gli domanda un’altra volta: “Quando arriveremo, papà?”. Il padre gli risponde che manca ancora molto.
Il bambino lo interrompe di nuovo e così per tantissime altre volte. Il padre disperato cerca la maniera di distrarre il bambino.
Vede sulla rivista che stava leggendo la figura del mappamondo, la rompe in molti pezzetti e li da al figlio invitandolo a ricostruire la figura del mappamondo. Così si siede felice sul suo sedile convinto che il bambino sarebbe stato occupato per tutto il resto del viaggio.
Aveva appena cominciato a leggere di nuovo la sua rivista quando il bambino esclama: “HO TERMINATO”. “Impossibile! Non posso crederci! Come hai potuto ricostruire il mondo in così poco tempo?” Però il mappamondo era stato ricostruito perfettamente. Allora il padre gli domanda di nuovo: “Come hai potuto ricostruire il mondo così rapidamente?”
Il bambino risponde: “Non mi sono fissato sul mondo.... dietro al foglio c’era la figura di un uomo, HO RICOSTRUITO L’UOMO E IL MONDO SI E’ AGGIUSTATO DA SOLO !!!!”.
Il mondo sarà aggiustato solo quando gli uomini saranno aggiustati ossia, saranno leali ed onesti.
Il pescatore
Sul molo di un piccolo villaggio messicano, un turista americano si ferma e si avvicina ad una piccola imbarcazione di un pescatore del posto. Si complimenta con il pescatore per la qualità del pesce e gli chiede quanto tempo avesse impiegato per pescarlo. Il pescatore risponde: ‘Non ho impiegato molto tempo’ e il turista: ‘Ma allora, perchè non è stato di più, per pescarne di più?’ Il messicano gli spiega che quella esigua quantità era esattamente ciò di cui aveva bisogno per soddisfare le esigenze della sua famiglia. Il turista chiese: ‘Ma come impiega il resto del suo tempo?’ E il pescatore: ‘Dormo fino a tardi, pesco un po’, gioco con i miei bimbi e faccio la siesta con mia moglie. La sera vado al villaggio, ritrovo gli amici, beviamo insieme qualcosa, suono la chitarra, canto qualche canzone, e via così, trascorro appieno la vita.’
Allorchè il turista fece: ‘La interrompo subito, sa sono laureato ad Harvard, e posso darle utili suggerimenti su come migliorare. Prima di tutto dovrebbe pescare più a lungo, ogni giorno di più. Così logicamente pescherebbe di più. Il pesce in più lo potrebbe vendere e comprarsi una barca più grossa. Barca più grossa significa più pesce, più pesce significa più soldi, più soldi più barche… Potrà permettersi un’in tera flotta! Quindi invece di vendere il pesce all’uomo medio, potrà negoziare direttamente con le industrie della lavorazione del pesce, potrà a suo tempo aprirsene una sua. In seguito potrà lasciare il villaggio e trasferirsi a Mexico City o a Los Angeles o magari addirittura a New York! Da lì potrà dirigere un’enorme impresa!’
Il pescatore lo interruppe: ‘Ma per raggiungere questi obiettivi quanto tempo mi ci vorrebbe?’E il turista: ’20, 25 anni forse’ quindi il pescatore chiese: ‘….e dopo?’ Turista: ‘ Ah dopo, e qui viene il bello, quando il suoi affari avranno raggiunto volumi grandiosi, potrà vendere le azioni e guadagnare miliardi!’ E il pescatore:’miliardi? e poi?’ Turista: ‘Eppoi finalmente potrà ritirarsi dagli affari e andare in un piccolo villaggio vicino alla costa, dormire fino a tardi, giocare con i suoi bimbi, pescare un po’ di pesce, fare la siesta, passare le serate con gli amici bevendo qualcosa, suonando la chitarra e trascorrere appieno la vita’.
MALELINGUE
C'era una volta una coppia con un figlio di 12 anni e un asino. Decisero di viaggiare, di lavorare e di conoscere il mondo e partirono tutti e tre con il loro asino.
Arrivati nel primo paese, la gente commentava: "Guardate quel ragazzo quanto è maleducato...lui sull'asino e i poveri genitori, già anziani, che lo tirano" . Allora la moglie disse a suo marito: "Non permettiamo che la gente parli male di nostro figlio". Il marito lo fece scendere e salì sull'asino.
Arrivati al secondo paese, la gente mormorava: "Guardate che svergognato quel tipo...lascia che il ragazzo e la povera moglie tirino l'asino, mentre lui vi sta comodamente in groppa". Allora, presero la decisione di far salire la moglie, mentre padre e figlio tenevano le redini per tirare l'asino.
Arrivati al terzo paese, la gente commentava: "Pover'uomo! dopo aver lavorato tutto il giorno, lascia che la moglie salga sull'asino. e povero figlio. chissà cosa gli spetta, con una madre del genere!". Allora si misero d'accordo e decisero di sedersi tutti e tre sull'asino percominciare nuovamente il pellegrinaggio.
Arrivati al paese successivo, ascoltarono cosa diceva la gente del paese:"Sono delle bestie, più bestie dell'asino che li porta. gli spaccheranno la schiena!". Alla fine, decisero di scendere tutti e camminare insieme all'asino.
Ma, passando per il paese seguente, non potevano credere a ciò che le voci dicevano ridendo: "Guarda quei tre idioti; camminano, anche se hanno un'asino che potrebbe portarli!"
Morale: Ti criticheranno sempre, parleranno male di te e sarà difficile che incontri qualcuno al quale tu possa andare bene come sei….
...vivi come credi...
...fai quel che ti dice il cuore...
...una vita è un'opera di teatro che non ha prove iniziali….
Canta, ridi, balla, ama... e vivi intensamente ogni momento della tua vita... prima che cali il sipario
PERCHE' LE PERSONE STRILLANO?
Un giorno, un pensatore indiano fece la seguente domanda ai suoi discepoli.
"Perchè le persone gridano quando sono arrabbiate?"
" Gridano perchè perdono la calma" rispose uno di loro.
" Ma perchè gridare se la persona sta al suo lato?" disse nuovamente il pensatore.
" Bene, gridiamo perchè desideriamo che l`altra persona ci ascolti" replicò un altro discepolo.
E il maestro tornò a domandare: "Allora non è possibile parlargli a voce bassa?"
Varie altre risposte furono date ma nessuna convinse il pensatore.
Allora egli esclamò: " Voi sapete perchè si grida contro un`altra persona quando si è arrabbiati? Il fatto è che quando due persone sono arrabbiate i loro cuori si allontanano molto. Per coprire questa distanza bisogna gridare per potersi ascoltare. Quanto più arrabbiati sono tanto più forte dovranno gridare per sentirsi l`uno con l`altro. D`altra parte, che succede quando due persone sono innamorate? Loro non gridano, parlano soavemente. E perchè?
Perchè i loro cuori sono molto vicini. La distanza tra loro è piccola. A volte sono talmente vicini i loro cuori che neanche parlano, solamente sussurrano. E quando l`amore è più intenso non è necessario nemmeno sussurrare, basta guardarsi. I loro cuori si intendono. E` questo che accade quando due persone che si amano si avvicinano." Infine il pensatore concluse dicendo: "Quando voi discuterete non lasciate che i vostri cuori si allontanino, non dite parole che li possano distanziare di più, perchè arriverà un giorno in cui la distanza sarà tanta che non incontreranno mai più la strada per tornare."
(Mahatma Gandhi)
“Lei non sa chi sono io, ma io so perfettamente chi è lei"
"Era una mattinata movimentata, quando un anziano gentiluomo di un'ottantina di anni arrivó per farsi rimuovere dei punti da una ferita al pollice. Disse che aveva molta fretta perché aveva un appuntamento alle 9:00.
Rilevai la pressione e lo feci sedere, sapendo che sarebbe passata oltre un'ora prima che qualcuno potesse vederlo.
Lo vedevo guardare continuamente il suo orologio e decisi, dal momento che non avevo impegni con altri pazienti, che mi sarei occupato io della ferita.
Ad un primo esame, la ferita sembrava guarita: andai a prendere gli strumenti necessari per rimuovere la sutura e rimedicargli la ferita.
Mentre mi prendevo cura di lui, gli chiesi se per caso avesse un altro appuntamento medico dato che aveva tanta fretta. L'anziano signore mi rispose che doveva andare alla casa di cura per far colazione con sua moglie.
Mi informai della sua salute e lui mi raccontó che era affetta da tempo dall'Alzheimer. Gli chiesi se per caso la moglie si preoccupasse nel caso facesse un po' tardi.
Lui mi rispose che lei non lo riconosceva giá da 5 anni.
Ne fui sorpreso, e gli chiesi 'E va ancora ogni mattina a trovarla anche se non sa chi é lei'?
L'uomo sorrise e mi batté la mano sulla spalla dicendo: "Lei non sa chi sono, ma io so ancora perfettamente chi é lei"
Dovetti trattenere le lacrime...Avevo la pelle d'oca e pensai:
'Questo é il genere di amore che voglio nella mia vita". Il vero amore non é né fisico né romantico. Il vero amore é l'accettazione di tutto ció che é, é stato, sará e non sará. Le persone piú felici non sono necessariamente coloro che hanno il meglio di tutto, ma coloro che traggono il meglio da ció che hanno.
La vita non é una questione di come sopravvivere alla tempesta, ma di come danzare nella pioggia. Sii piú gentile del necessario, perché ciascuna delle persone che incontri sta combattendo qualche sorta di battaglia. "
Fare del volontariato è come bere un contravveleno.
... Fare del volontariato è come bere un contravveleno. L’avvelenamento comincia presto, anzi subito: la casa, la famiglia, la città avvelenano, la nascita stessa è un veleno, il più tremendo; poi viene il lavoro, un avvelenamento interminabile, il divertimento (veleno su veleno), le cure, il più ovvio dei veleni.
Di veleno del mondo non si muore subito: meno pietoso del cobra e dell’aspide, il mondo avvelena per gradi, uccide senza uccidere.
La privazione di senso, l’assenza di centro, l’assoggettamento a tutto. Un mondo senza bellezza, sfrenatamente umanizzato, obbliga ad invocare, a cercare la fuga, a recidere i rapporti umani, a staccarsi dal polipaio, terrorizzati dalla faccia umana.
Farei il volontario al servizio degli insetti; riparerei le ali di mosca, aiuterei i ragni azzoppati ad attraversare i fili della biancheria, inventerei protesi per i lombrichi tagliati, le farfalle mutilate, le blatte ferite dalle scope….Il volontariato è un contravveleno dalla famiglia, che nel bisogno come nel soddisfacimento esiste principalmente come fabbrica privata di denaro. Il pensiero ossessivo delle famiglie è il denaro. Qui la buona e la mala vita si danno una mano: esiste in vista del denaro. Il figlio che non guadagna è sospetto, è un malato o una vergogna. Bisogna fare denaro. Denaro da spendere in macchine, turismo, o altra famiglia….Si può essere volontari dai 18 agli 80 anni, e oltre: il volontariato è aconfessionale e raccoglie chi va in chiesa e chi non ci va.
Come scuola di vita, se frequentata a lungo e con assiduità, mi pare delle più fruttuose; vi s’impara un mestiere imponente ed inesplicabile, che altrove non può essere imparato altrettanto bene: ad avere pietà, a donare amore, a portare la croce, per un tratto, per mezz’ora, per qualche ora al giorno, di chi non può farcela. Luca
L’UNIONE CREA LA GIOIA
C’era una volta un complesso di sette strumenti musicali: erano un pianoforte, un violino, una chitarra classica, un flauto, un sassofono, una cornetta e una batteria. Vivevano nella medesima stanza, ma non andavano d’accordo. Erano così orgogliosi che ognuno pensava di essere il re degli strumenti e di non aver bisogno degli altri. Non solo, ma ciascuno voleva suonare le melodie che aveva nel cuore e non accettava di eseguire uno spartito. Tutti ritenevano ciò una imposizione intollerabile che violava la loro libertà di espressione. Quando al mattino si svegliavano ognuno cominciava a suonare liberamente le proprie melodie e per superare gli altri usava i toni più forti e violenti. Risultato: un inferno di caotici rumori. Una notte capitò che la batteria non riuscisse a chiudere occhio per il nervoso. Per passare il tempo cominciò a scatenarsi con le sue percussioni. Fu la goccia che fece traboccare il vaso. Per la prima volta tutti gli strumenti si trovarono d’accordo su una cosa: la decisione di andare ognuno per conto suo.
Stavano per uscire quando alla porta bussò una bacchetta con uno spartito in cerca di strumenti da dirigere.
Parlando con garbo e diplomazia chiese loro di fare una nuova esperienza, quella di suonare ognuno secondo la propria natura, ma con note, ritmi e tempi armonizzati. “Con un occhio guardate lo spartito, con l’altro i miei cenni, dopo che avrò dato il via, disse la bacchetta”.
Un po’ perché erano molto stanchi del caos in cui vivevano, un po’ per la curiosità di fare una nuova esperienza, accettarono. Si misero a suonare con passione dando ognuno il meglio di se stesso e con una obbedienza totale alla bacchetta… magica. A mano a mano che andavano avanti si ascoltavano l’un l’altro con grande piacere. Quando la bacchetta fece il cenno della fine un’immensa felicità riempiva il loro cuore: avevano eseguito il famoso Inno alla gioia di Beethoven.
Il “Padre Nostro” detto da Dio
Hai pensato come Dio direbbe il "Padre nostro"? o meglio il "Figlio mio".
Figlio mio, che stai nella terra e ti senti preoccupato, confuso, disorientato, solo, triste e angosciato.
Io conosco perfettamente il tuo nome e lo pronuncio benedicendolo, perché ti amo, e ti accetto così come sei.
Insieme costruiremo il mio Regno, del quale tu sei mio erede e in esso non sarai solo perché Io sono in te, come tu sei in me.
Desidero che tu faccia sempre la mia volontà, perché la mia volonta è che tu sia umanamente felice.
Avrai il pane quotidiano. Non ti preoccupare. Però ricorda, non è solo tuo, ti chiedo di dividerlo sempre con il tuo prossimo, ecco perché lo do a te, perché so che sai che è per te e per tutti i tutti i tuoi fratelli.
Perdono sempre le tue offese, anzi ti assolvo prima che le commetta, so che le commetterai, però so anche che a volte è l'unico modo che hai per imparare, crescere e avvicinarti a me, alla tua vocazione. Ti chiedo solo, che in egual modo, perdoni te stesso e perdoni coloro che ti feriscono.
So che avrai tentazioni e sono certo che le supererai.
Stringimi la mano, aggrappati sempre a me, ed io ti darò il discernimento e la forza perché ti liberi dal male.
Non dimenticare mai che ti amo da prima che tu nascessi, e che ti amerò oltre la fine dei tuoi giorni, perché sono in te, come tu sei in me. Che la mia benedizione scenda e rimanga su di te sempre e che la mia pace e l'amore eterno ti accompagnino sempre.
Solo da me potrai ottenerli e solo io posso darteli perché Io sono l'Amore e la Pace.
DUE UOMINI
Due uomini, entrambi molto malati, occupavano la stessa stanza d'ospedale. Ad uno dei due uomini era permesso mettersi seduto per un'ora ogni pomeriggio in modo da permettere il drenaggio dei fluidi dal suo corpo ed il suo letto era vicino all'unica finestra della stanza. L'altro uomo invece doveva restare sempre sdraiato.
Col passare dei giorni i due uomini fecero conoscenza e cominciarono a parlare per ore. Parlarono delle loro mogli, delle loro famiglie, delle loro case, del loro lavoro, del loro servizio militare e dei viaggi che avevano fatto. Ogni pomeriggio l'uomo che stava nel letto vicino alla finestra poteva sedersi e passava il tempo raccontando al suo compagno di stanza tutte le cose che poteva vedere e l'altro paziente cominciò a vivere per quelle ore in cui la sua sofferenza veniva lenita dai colori del mondo esterno. La finestra dava su un parco con un delizioso laghetto dove Le anatre e i cigni giocavano nell'acqua, mentre i bambini facevano navigare le loro barche giocattolo. Giovani innamorati camminavano abbracciati tra fiori di ogni colore e c'era una bella vista della città in lontananza. Mentre l'uomo vicino alla finestra descriveva tutto ciò nei minimi dettagli, l'uomo dall'altra parte della stanza chiudeva gli occhi e immaginava la scena. In un caldo pomeriggio l'uomo della finestra descrisse una parata che stava passando. Sebbene l'altro uomo non potesse vedere la banda, poteva sentirla e vederla con gli occhi della sua mente, così come l'uomo dalla finestra gliela descriveva. Passavano i giorni e le settimane. Un mattino l'infermiera del turno di giorno portò loro l'acqua per il bagno e trovò il corpo senza vita dell'uomo vicino alla finestra, morto pacificamente nel sonno. L'infermiera diventò molto triste e chiamò gli inservienti per portare via il corpo. Non appena gli sembrò appropriato, l'altro uomo chiese se poteva spostarsi nel letto vicino alla finestra. L'infermiera fu felice di fare il cambio, e dopo essersi assicurata che stesse bene, lo lasciò solo. Lentamente, dolorosamente, l'uomo si sollevò su un gomito per vedere per la prima volta il mondo esterno, voltandosi lentamente per guardare fuori. Essa si affacciava su un muro bianco… L'uomo, allora, chiese all'infermiera che cosa poteva avere spinto il suo amico morto a descrivere delle cose così meravigliose al di fuori da quella finestra. L'infermiera rispose che l'uomo era cieco e non poteva nemmeno vedere il muro:'Forse, voleva farle coraggio..' disse.
IL VECCHIO SAGGIO
Un uomo ricevette, una volta, la visita di alcuni amici.
"Vorremmo tanto che ci insegnassi quello che hai appreso in tutti questi anni," disse uno di loro.
"Sono vecchio," rispose l'uomo.
"Vecchio e saggio," disse un altro. "In fin dei conti, ti abbiamo sempre visto pregare durante tutto questo tempo. Di cosa parli con Dio? Quali sono le cose importanti che Gli dobbiamo chiedere?"
L'uomo sorrise.
"All'inizio, avevo il fervore della gioventù, che crede nell'impossibile. Allora, mi inginocchiavo davanti a Dio e gli chiedevo che mi desse le forze per cambiare l'umanità.
"A poco a poco, mi sono accorto che era un compito superiore alle mie forze. Allora ho cominciato a chiedere a Dio che mi aiutasse a cambiare ciò che mi circondava."
"In tal caso, possiamo garantirti che il tuo desiderio è stato esaudito in parte," disse uno degli amici. "Il tuo esempio è servito per aiutare molta gente."
"Ho aiutato molta gente con il mio esempio; ma sapevo, comunque, che non era la preghiera perfetta. Solo adesso, alla fine della mia vita, ho capito qual era la richiesta che avrebbe dovuto essere fatta fin dall'inizio."
"E qual è questa richiesta?"
"Che io fossi capace di cambiare me stesso."
LA PACE COME CAMMINO
A dire il vero non siamo molto abituati a
legare il termine pace a concetti dinamici.
Raramente sentiamo dire:ù "Quell'uomo si affatica in pace", "lotta in pace", "strappa la vita coi denti in pace"...
Più consuete, nel nostro linguaggi, sono invece le espressioni: "Sta seduto in pace", "sta leggendo in pace","medita in pace" e, ovviamente, "riposa in pace".
La pace, insomma, ci richiama più la vestaglia da camera che lo zaino del viandante.
Più il comfort del salotto che i pericoli della strada. Più il caminetto che l'officina brulicante di problemi. Più il silenzio del deserto che il traffico della metropoli. Più la penombra raccolta di una chiesa che una riunione di sindacato. Più il mistero della notte che i rumori del meriggio. Occorre forse una rivoluzione di mentalità per capire che la pace non è un dato, ma una conquista. Non un bene di consumo, ma il prodotto di un impegno. Non un nastro di partenza, ma uno striscione di arrivo. La pace richiede lotta, sofferenza, tenacia. Esige alti costi di incomprensione e di sacrificio. Rifiuta la tentazione del godimento. Non tollera atteggiamenti sedentari.
Non annulla la conflittualità. Non ha molto da spartire con la banale "vita pacifica". Sì, la pace prima che traguardo, è cammino. E, per giunta, cammino in salita. Vuol dire allora che ha le sue tabelle di marcia e i suoi ritmi, i suoi percorsi preferenziali ed i suoi tempi tecnici, i suoi rallentamenti e le sue accelerazioni. Forse anche le sue soste.
Se è così, occorrono attese pazienti. E sarà beato, perché operatore di pace, non chi pretende di trovarsi all'arrivo senza essere mai partito, ma chi parte. Col miraggio di una sosta sempre gioiosamente intravista, anche se mai - su questa terra s'intende - pienamente raggiunta.
IL LUNGO SENTIERO…
Lupa Bianca del Nord
Il lungo sentiero e la foresta oscura son davanti a me,
odo il suono di tamburi lontani che la magia del vento diffonde nell'aria
e avverto il canto ritmico del mio cuore.
Ascolto nel vento il tuo nome, sussurro lieve... sospiro d'amore che aumenta al ritmo del tam tam,
poi torna a defluire fino ad estinguersi.
Comincia il canto melodioso della natura fra i sottili fili d'erba che il vento scuote inondando il mio spirito. Vengo a Te o voce nel vento.
Aspettami. Sono debole e indifesa ho bisogno della Tua forza e della Tua mano.
Affidami alle ali del vento e fa che i miei occhi ammirino sempre un tramonto dorato.
Fa che io voli alta nel cielo sicura come un'aquila e la mia anima ascolti il sussurro della pioggia.
Rendimi saggia che capisca la fragilità di una foglia e la potenza del vento.
La tua forza e la tua dignità mi siano scudo contro il male.
Fa che io sia sempre vicino a Te con mani sante e occhi luminosi fino a quando la luce del tramonto svanirà in una notte stellata ed il mio Spirito s'innalzerà a Te con la dolcezza delle ali di una colomba!
Khalil Gibran
poeta, pittore e filosofo libanese cristiano-maronitanato a Bsharri il 6 gennaio 1883, morto a New York il 10 aprile 1931
Solo chi ama gli altri impara qualcosa a proposito di se stesso.
Quando l'amore ti parla, credigli!
E quando le sue ali ti avvolgono, abbandonati a esso, quantunque la spada nascosta tra le sue piume ti possa ferire.
Sebbene la sua voce possa frantumare i tuoi sogni come il vento devasta il giardino. Così esso scenderà alle tue radici per scuoterle, dov'esse sono più fortemente attaccate alla terra. Ti impasta sino a quando non sarai flessibile,
e come covoni di grano ti raccoglie a se.
Tutte queste cose farà a te l’Amore affinchè possa conoscere i segreti del tuo cuore e in quella conoscenza diventerai così un frammento delò cuore della vita…..
Ci sono quelli che danno poco del molto che hanno e lo danno per ottenere riconoscenza,
ma questo segreto desiderio guasta i loro doni. E ci sono quelli che hanno poco e danno molto.
Sono proprio loro quelli che credono nella vita e nella generosità della vita e il loro scrigno non è mai vuoto. Ci sono quelli che danno con gioia, e questa gioia è la loro ricompensa.
E ci sono quelli che danno con dolore, e questo dolore è il loro battesimo.
E' bene dare quando si è richiesti, ma è meglio dare quando, pur non essendo richiesti, si comprendono i bisogni degli altri. Tutto ciò che hai, un giorno o l'altro sarà dato via.
Perciò da' adesso, così che la stagione del dare sia la tua, non quella dei tuoi eredi.
Non essere troppo pronto...
di Thomas Merton
Non essere troppo pronto a credere che il tuo nemico è un selvaggio proprio perché è tuo nemico. Forse egli è il tuo nemico perché crede che tu sia un selvaggio. O forse ha paura di te perché sente che tu hai paura di lui. E forse, se sapesse che tu sei in grado di amarlo, non sarebbe più tuo nemico. Non essere pronto a credere che il tuo nemico è un nemico di Dio appunto perché è tuo nemico. Forse egli è tuo nemico proprio perché non può trovare in te nulla che dia gloria a Dio. Forse egli ha paura di te perché non può trovare in te nulla dell'amore di Dio e della tenerezza di Dio e della pazienza e misericordia e comprensione di Dio per la debolezza umana.
Non essere troppo pronto a condannare l'uomo che non crede più in Dio, perché forse sono stati la tua freddezza, la tua avarizia, la tua mediocrità, il tuo materialismo, la tua sensualità, il tuo egoismo a uccidere la sua fede.
UN LADRO IN PARADISO
Un ladro arrivò alla porta del Cielo e cominciò a bussare: «Aprite!». L'apostolo Pietro, che custodisce le chiavi del Paradiso, udì il fracasso e si affacciò alla porta. «Chi è là?». «Io». «E chi sei tu?».
«Un ladro. Fammi entrare in Cielo».
«Neanche per sogno. Qui non c'è posto per un ladro». «E chi sei tu per impedirmi di entrare?». «Sono l'apostolo Pietro!». «Ti conosco! Tu sei quello che per paura ha rinnegato Gesù prima che il gallo cantasse tre volte. Io so tutto, amico!». Rosso di vergogna, San Pietro si ritirò e corse a cercare San Paolo: «Paolo, va' tu a parlare con quel tale alla porta». San Paolo mise la testa fuori della porta: «Chi è là?».«Sono io, il ladro. Fammi entrare in Paradiso».
«Qui non c'è posto per i ladri!».
«E chi sei tu che non vuoi farmi entrare?».
«Io sono l'apostolo Paolo!».
«Ah, Paolo! Tu sei quello che andava da Gerusalemme a Damasco per ammazzare i cristiani. E adesso sei in Paradiso!».
San Paolo arrossì, si ritirò confuso e raccontò tutto a San Pietro.
«Dobbiamo mandare alla porta l'Evangelista Giovanni» disse Pietro. «Lui non ha mai rinnegato Gesù. Può parlare con il ladro». Giovanni si affacciò alla porta.
«Chi è là?». «Sono io, il ladro. Lasciami entrare in Cielo». «Puoi bussare fin che vuoi, ladro. Per i peccatori come te qui non c'è posto!». «E chi sei tu, che non mi lasci entrare?».
«Io sono l'Evangelista Giovanni».
«Ah, tu sei un Evangelista. Perché mai ingannate gli uomini? Voi avete scritto nel Vangelo: "Bussate e vi sarà aperto. Chiedete ed otterrete". Sono due ore che busso e chiedo, ma nessuno mi fa entrare. Se tu non mi trovi subito un posto in Paradiso, torno immediatamente sulla Terra e racconto a tutti che hai scritto bugie nel Vangelo!». Giovanni si spaventò e
O Grande Spirito, la cui voce ascolto nel vento, il cui respiro da vita a tutte le cose; Ascoltami: io ho bisogno della tua forza e della tua saggezza, lasciami camminare nella bellezza, e fa che i miei occhi sempre guardino il rosso e purpureo tramonto.
Fa che le mie mani rispettino la natura in ogni sua forma e che le mie orecchie rapidamente ascoltino la tua voce. Fa che sia saggio e che possa capire le cose che hai pensato per il mio popolo. Aiutami a rimanere calmo e forte di fronte a tutti quelli che verranno contro di me. Lasciami imparare le lezioni che hai nascosto in ogni foglia e in ogni roccia. Aiutami a trovare azioni e pensieri puri per poter aiutare glialtri. Aiutami a trovare la compassione senza la opprimente contemplazione di me stesso.
Io cerco la forza non per essere più grande del mio fratello, ma per combattere il mio più grande nemico: Me stesso. Fammi sempre essere pronto a venire da te con mani pulite e sguardo alto. Così quando la vita appassisce, come appassisce il tramonto, il mio spirito possa venire da te senza vergogna. (Bisonte che cammina 1871-1967)
LETTERA DI UN PADRE ANZIANO AL PROPRIO FIGLIO
Se un giorno mi vedrai vecchio, se mi sporco quando mangio e non riesco a vestirmi, abbi pazienza con me: ricorda il tempo che ho trascorso ad insegnarti queste cose.
Se quando parlo con te ripeto sempre le stesse cose, non mi interrompere. Ascoltami. Quando eri piccolo dovevo raccontarti ogni sera la stessa storia finché non ti addormentavi. Quando non voglio lavarmi, non biasimarmi e non farmi vergognare. Ricordati quando dovevo correrti dietro inventando delle scuse perché non volevi fare il bagno. Quando vedi la mia ignoranza per le nuove tecnologie, dammi il tempo necessario e non guardarmi con quel sorrisetto ironico. Ho speso molta pazienza per insegnarti l'ABC e le prime addizioni.
Quando ad un certo punto non riesco a ricordare o perdo il filo del discorso, dammi il tempo necessario per ricordare, e se non ci riesco non ti innervosire: la cosa più importante non è quello che dico, ma il mio bisogno di essere lì con te ed averti davanti a me mentre mi ascolti. Quando le mie gambe stanche non mi consentono di tenere il tuo passo non trattarmi come fossi un peso. Vieni verso di me con le tue mani forti nello stesso modo con cui io l'ho fatto con te quando muovevi i tuoi primi passi. Quando dico che vorrei essere morto, non arrabbiarti. Un giorno comprenderai che cosa mi spinge a dirlo. Cerca di capire che alla mia età non si vive, si sopravvive. Un giorno scoprirai che nonostante i miei errori ho sempre voluto il meglio per te e che ho tentato di spianarti la strada. Dammi un po' del tuo tempo, dammi un po' della tua pazienza, dammi una spalla su cui poggiare la testa, allo stesso modo in cui io l'ho fatto per te. Aiutami a camminare, aiutami ad arrivare alla fine dei miei giorni con amore, affetto e pazienza. In cambio io ti darò sorrisi e l'immenso amore che ho sempre avuto per te. Ti amo, figlio mio
DIO ESISTE DAVVERO?
Nel ventre di una madre c'erano due bambini. Uno ha chiesto all'altro: "Ci credi in una vita dopo il parto?". L'altro ha risposto : "E' chiaro. Deve esserci qualcosa dopo il parto. Forse noi siamo qui per prepararci per quello che verrà più tardi". “Sciocchezze", Ha detto il primo. "Non c'è vita dopo il parto. Che tipo di vita sarebbe quella?" Il secondo ha detto: "Io non lo so, ma ci sarà più luce di qui. Forse noi potremo camminare con le nostre gambe e mangiare con le nostre bocche. Forse avremo altri sensi che non possiamo capire ora". Il primo replicò: "Questo è un assurdo. Camminare è impossibile. E mangiare con la bocca!? Ridicolo! Il cordone ombelicale ci fornisce nutrizione e tutto quello di cui abbiamo bisogno. Il cordone ombelicale è molto breve. La vita dopo il parto è fuori questione". Il secondo ha insistito: "Beh, io credo che ci sia qualcosa e forse diverso da quello che è qui. Forse la gente non avrà più bisogno di questo tubo fisico". Il primo ha contestato: "Sciocchezze, e inoltre, se c'è davvero vita dopo il parto, allora, perché nessuno è mai tornato da lì? Il parto è la fine della vita e nel post-parto non c'è nient'altro che oscurità, silenzio e oblio. Lui non ci porterà da nessuna parte". "Beh, io non so", ha detto il secondo, "ma sicuramente troveremo la mamma e lei si prenderà cura di noi". Il primo ha risposto: "Mamma, tu credi davvero a mamma? Questo è ridicolo. Se la mamma c'è, allora, dov'è ora?" Il secondo ha detto: "Lei è intorno a noi. Siamo circondati da lei. Noi siamo in lei. È per lei che viviamo. Senza di lei questo mondo non ci sarebbe e non potrebbe esistere". Ha detto il primo: "Beh, io non posso vederla, quindi, è logico che lei non esiste". Al che il secondo ha risposto: "A volte, quando stai in silenzio, se ti concentri ad ascoltare veramente, si può notare la sua presenza e sentire la sua voce da lassù".
IL MAESTRO ZEN
Un maestro zen vide uno scorpione annegare e decise di tirarlo fuori dall'acqua.
Quando lo fece, lo scorpione lo punse.
Per l'effetto del dolore, il maestro lasciò l'animale che di nuovo cadde nell'acqua in procinto di annegare.
Il maestro tentò di tirarlo fuori nuovamente e l'animale lo punse ancora.
Un giovane discepolo che era lì gli si avvicina e gli disse: " Mi scusi maestro, ma perché continuate??? Non capite che ogni volta che provate a tirarlo fuori dall'acqua vi punge? "
Il maestro rispose: " La natura dello scorpione è di pungere e questo non cambierà la mia che è di aiutare."
Allora, il maestro riflette e con l'aiuto di una foglia, tirò fuori lo scorpione dell'acqua e gli salvò la vita, poi rivolgendosi al suo giovane discepolo, continuò: " Non cambiare la tua natura se qualcuno ti fa male, prendi solo delle precauzioni. Perché, gli uomini sono quasi sempre ingrati del beneficio che gli stai facendo. Ma questo non è un motivo per smettere di fare del bene, di abbandonare l'amore che vive in te.
Gli uni perseguono la felicità, gli altri lo creano.
Preoccupati più della tua coscienza che della tua reputazione.
Perché la tua coscienza è quello che sei, e la tua reputazione è ciò che gli altri pensano di te...
Quando la vita ti presenta mille ragioni per piangere, mostrale che hai mille ragioni per sorridere."
UN PADRE RICCO
"Un padre ricco, volendo che suo figlio sapesse che significa essere povero, gli fece passare una giornata con una famiglia di contadini.
Il bambino passò 3 giorni e 3 notti nei campi.
Di ritorno in città, ancora in macchina, il padre gli chiese:
- Che mi dici della tua esperienza ?
- Bene – rispose il bambino
Hai appreso qualcosa ? Insistette il padre
1 – Che abbiamo un cane e loro ne hanno quattro.
2 – Che abbiamo una piscina con acqua trattata, che arriva in fondo al giardino. Loro hanno un fiume, con acqua cristallina, pesci e altre belle cose.
3- Che abbiamo la luce elettrica nel nostro giardino ma loro hanno le stelle e la luna per illuminarli.
4 – Che il nostro giardino arriva fino al muro. Il loro, fino all’orizzonte.
5 – Che noi compriamo il nostro cibo; loro lo coltivano, lo raccolgono e lo cucinano.
6 – Che noi ascoltiamo CD... Loro ascoltano una sinfonia continua di pappagalli, grilli e altri animali...
...tutto ciò, qualche volta accompagnato dal canto di un vicino che lavora la terra.
7 – Che noi utilizziamo il microonde. Ciò che cucinano loro, ha il sapore del fuoco lento
8 – Che noi per proteggerci viviamo circondati da recinti con allarme... Loro vivono con le porte aperte, protetti dall’amicizia dei loro vicini.
9 – Che noi viviamo collegati al cellulare, al computer, alla televisione. Loro sono collegati alla vita, al cielo, al sole, all’acqua, ai campi, agli animali, alle loro ombre e alle loro famiglie.
Il padre rimane molto impressionato dai sentimenti del figlio. Alla fine il figlio conclude
- Grazie per avermi insegnato quanto siamo poveri !
ARRIVA DIO
Un giorno un uomo "single" venne a sapere che Dio stava per venire a trovarlo. «Da me?», si preoccupò. «Nella mia casa?».
Si mise a correre affannato attraverso tutte le camere, salì e scese per le scale, si arrampicò fin sul tetto, si precipitò in cantina. Vide la sua casa con altri occhi, adesso che doveva venire Dio. «Impossibile! Povero me!», si lamentava. «Non posso ricevere visite in questa indecenza. E' tutto sporco! Tutto pieno di porcherie. Non c'è un solo posto adatto per riposare. Non c'è neppure aria per respirare». Spalancò porte e finestre.
«Fratelli! Amici!», invocò. «Qualcuno mi aiuti a mettere in ordine! Ma in fretta!».
E cominciò a spazzare con energia la sua casa. Attraverso la spessa nube di polvere che si sollevava, vide uno che era venuto a dargli aiuto. In due era più facile. Buttarono fuori il ciarpame inutile, lo ammucchiarono e lo bruciarono. Si misero in ginocchioni e strofinarono vigorosamente le scale e i pavimenti. Ci vollero molti secchi d'acqua, per pulire tutti i vetri. Stanarono anche la sporcizia che si annidava negli angoli più nascosti.
«Non finiremo mai!», sbuffava l'uomo. «Finiremo!», diceva l'altro, con calma. Continuarono a lavorare, fianco a fianco, per tutto il giorno. E, finalmente, la casa pareva messa a nuovo, lustra e profumata di pulito. Quando scese il buio, andarono in cucina e apparecchiarono la tavola. «Adesso», disse l'uomo, «può venire il mio Visitatore! Adesso può venire Dio. Dove starà aspettando?». «Io sono già qui!», disse l'altro, e si sedette al tavolo. «Siediti e mangia con me!».
Dio non ci lascia mai soli nel compito di «far pulizia» nella nostra casa-anima.
E' con noi, dalla nostra parte. Ci incoraggia con la sua parola, ci affianca e agisce con la sua grazia. Il sacramento della Riconciliazione è opera contemporanea di Dio e del cristiano, che si incontrano per star bene insieme e «mangiare alla stessa tavola».
IL NATALE PER GIOVANNI PAOLOII E MADRE TERESA
Dicembre
Bambino Gesù, asciuga ogni lacrima -
Asciuga, Bambino Gesù, le lacrime dei fanciulli! Accarezza il malato e l’anziano! Spingi gli uomini a deporre le armi e a stringersi in un universale abbraccio di pace! Invita i popoli, misericordioso Gesù, ad abbattere i muri creati dalla miseria e dalla disoccupazione, dall’ignoranza e dall’indifferenza, dalla discriminazione e dall’intolleranza. Sei tu, Divino Bambino di Betlemme, che ci salvi, liberandoci dal peccato. Sei tu il vero e unico Salvatore, che l’umanità spesso cerca a tentoni. Dio della pace, dono di pace per l’intera umanità, vieni a vivere nel cuore di ogni uomo e di ogni famiglia. Sii tu la nostra pace e la nostra gioia! Giovanni Paolo II
E’ Natale
E’ Natale ogni volta che sorridi a un fratello e gli tendi la mano.
E’ Natale ogni volta che rimani in silenzio per ascoltare l’altro.
E’ Natale ogni volta che non accetti quei principi che relegano gli oppressi ai margini della società.
E’ Natale ogni volta che speri con quelli che disperano nella povertà fisica e spirituale.
E’ Natale ogni volta che riconosci con umiltà i tuoi limiti e la tua debolezza.
E’ Natale ogni volta che permetti al Signore di rinascere per donarlo agli altri.
Madre Teresa di Calcutta
Vivi la vita
Capo indiano Tecumseh
Novembre 2015
Vivi la vita in modo tale che la paura della morte non possa mai entrare nel tuo cuore. Non attaccare nessuno per la sua religione. Rispetta le idee degli altri e chiedi che essi rispettino le tue. Ama la tua vita, migliora la tua vita, abbellisci le cose che essa ti da. Cerca di vivere a lungo e di avere come scopo quello di servire il tuo popolo. Prepara una nobile canzone di morte per il giorno in cui ti incamminerai verso la grande separazione. Rivolgi sempre una parola o un saluto quando incontri un amico, anche se straniero in un posto solitario. Mostra rispetto per tutte le persone e non umiliarti davanti a nessuno. Quando ti svegli al mattino ringrazia per il cibo e per la gioia della vita. Se non trovi nessun motivo per ingraziare, la colpa giace solo in te stesso. Non abusare di niente e di nessuno, per farlo cambia el cose saggie in quelle schiocche e priva lo spirito delle sue visioni. Quando arriverà il tuo momento di morire, non essere come quelli i cui cuori sono pieni di paura, e quando arriverà il loro momento essi piangeranno e pregheranno per avere un altro poco di tempo per vivere la loro vita in maniera diversa. Canta la tua canzone della morte e muori come un eroe che sta tornando alla casa.
Ottobre 2015
NON GIUDICARE
Una ragazza stava aspettando il suo volo in una sala d'attesa di un grande aeroporto. Siccome avrebbe dovuto aspettare per molto tempo, decise di comprare un libro per ammazzare il tempo. Comprò anche un pacchetto di biscotti. Si sedette nella sala VIP per stare più tranquilla. Accanto a lei c'era la sedia con i biscotti e dall'altro lato un signore che stava leggendo il giornale.Quando cominciò a prendere il primo biscotto,anche l'uomo ne prese uno; lei si sentì indignata ma non disse nulla e continuò a leggere il suo libro.Tra lei e lei pensò: "Ma tu guarda…se solo avessi un po' più di coraggio,gli direi quattro...". Così ogni volta che lei prendeva un biscotto,l'uomo accanto a lei, senza fare un minimo cenno, ne prendeva uno anche lui. Continuarono fino a che non rimase solo un biscotto e la donna pensò: "Ah, adesso voglio proprio vedere cosa mi dice quando saranno finiti tutti…!" L'uomo prima che lei prendesse l'ultimo biscotto lo divise a metà! "Ah, questo è troppo", pensò e cominciò a sbuffare e indignata si prese le sue cose il libro e la sua borsa e si incamminò verso l'uscita della sala d'attesa. Quando si sentì un po' meglio e la rabbia era passata, si sedette su una sedia lungo il corridoio per non attirare troppo l'attenzione e per evitare altri incontri spiacevoli. Chiuse il libro e aprì la borsa per infilarlo dentro quando....nell'aprire la borsa vide che il pacchetto di biscotti era ancora tutto intero nel suo interno. Sentì tanta vergogna e capì solo allora che il pacchetto di biscotti uguale al suo era di quell'uomo seduto accanto a lei che però aveva diviso i suoi biscotti con lei senza sentirsi indignato, nervoso.Al contrario di lei che aveva sbuffato,ma che ora si sentiva sprofondare…
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