CITTADINI DI CAPRAROLA FAMOSI PER OPERE ED ATTIVITA'


COLA DI MATTEUCCIO DA CAPRAROLA
Nacque a Caprarola (Viterbo), come testimoniano le dizioni "de Craperola", "de Caprarola diocesis Civitatis Castellane", che seguono il nome nei documenti che lo riguardano, ciò che dimostra, altresì, come egli abbia conservato l'iscrizione alla cittadinanza della città natale pur nelle continue e prolungate permanenze in altri luoghi. Fu imprenditore ed architetto, e la sua attività è documentata in vari cantieri dell'Italia centrale tra la fine del XV sec. e il primo ventennio del XVI.
Cola è menzionato per la prima volta nel 1499 (Müntz, 1892: una inesatta lettura del passo del Müntz ha indotto gli scrittori successivi a inserire l'artista in precedenti lavori compiuti nel 1494) in un documento relativo a opere di sistemazione della Rocca di Nepi, unitamente ad Antonio da Sangallo il Vecchio. In esso è definito lignarius: la qualifica è preceduta dal termine magister, chiaro indizio di una consolidata posizione professionale, che potrebbe permettere di fissare la data della sua nascita intorno aglianni 1470, in considerazione anche del fatto che nell'ultimo documento noto, del 1519, C. è nominato castellano della Rocca di Porto Ercole, incarico che certamente veniva affidato ad uomini fisicamente ancora prestanti.
Nel 1872 il Rossi pubblicò documenti relativi all'attività di Cola per la costruzione della chiesa della Consolazione a Todi: da essi fu indotto a considerarlo oltre che realizzatore anche progettista del tempio tudertino, troncando così una tradizione basata su di un passo di una "sacra visita" del 1574 che, riferendosi ai completamenti da eseguire, sosteneva che l'edificio "perficeretur juxta il modello quod conspicitur a perito Architecto Bramante nuncupato, designatum" (Rossi, 1874).
Ma la critica architettonica più autorevole, dal Venturi al De Angelis d'Ossat, dal Bruschi al Lotz, è tutta concorde, seppur con argomentazioni variate, nel considerare Cola solo un esecutore - a cui d'altronde vanno riconosciute capacità tecnica e sensibilità progettuale - del tempio della Consolazione di Todi, "ideato con un senso di matura e ampia spazialità, ed una grandiosità essenziale ed organica" (De Angelis d'Ossat, 1956, p. 207) riconducibili in quel momento soltanto a Bramante. Già nel secolo scorso il Geymüller (1875, p. 96) aveva fatto notare il contrasto fra l'impianto e l'intelaiatura architettonica dell'edificio: "mais les proportions des deux ordres et des grands pilastres sont de nature à nous persuader que les dispositions adoptées par Bramantes ont subi un changement considérable".
Soltanto a datare dal 18 ott. 1510 fino al 18 maggio 1512nei vari documenti Cola è definito "architector", "architettore", "architector et coptimarius" e altro (Rossi, 1872, pp. 4s.), con una appendice nel 1515 quando ancora in un atto del 9 dicembre è chiamato "architector fabrice sancte Marie Consolationis extra muros Tuderti" (Zänker, 1974, nota 15 a p. 605).
Che Cola, così come gli altri "magistri" e architetti che si sono succeduti nel cantiere della Consolazione, abbia modificato l'idea iniziale - e in definitiva quindi anche progettato - si può individuare, come suggerisce il Bonagura (1974, p. 626), nella probabile variazione dell'idea delle absidi circolari (una delle quali è stata realizzata) in absidi poligonali.
Una certa capacità progettuale e le doti imprenditoriali e organizzative probabilmente furono le ragioni per cui C. fu chiamato "in instaurationem et ornamentum ecclesie S. Felitiani [duomo] di Foligno ove egli comincia a comparire fin dal primo documento del 27 dic. 1512 relativo a tali lavori, e subito con la qualifica di "architectore" (Rossi, 1877, p. 343) a cui si aggiungono, nei documenti immediatamente successivi, attributi come "clarus", per culminare nel giudizio di molte autorevoli persone ("cum relatu multorum prestantium virorum") che dichiarano "magistrum Colam architectum prestantem... probatumque virum et honoris cupidum" (Rossi, 1877, pp. 343, 345).
Ciò che Cola propone per attualizzare l'antico edificio romanico-gotico della cattedrale, e che facilmente gli si può ascrivere come ideazione, è di realizzare una spazialità meno frammentata in episodi autonomi o eccessivamente ritmata, bensì unitaria e in un certo senso accostabile a quella della Consolazione di Todi. Il procedimento è descritto nel contratto del 30 dic. 1512 (Rossi, 1877, pp. 346 s.): "fare tutto il muro che bisogna in dicta chiesa" (probabilmente per costituire un'unica navata), "fare le base et cimase di ciascun pilastro... ad forma sonno quelle della Tribuna" (nel dettaglio Cola è obbligato a prendere a modello elementi dell'antica chiesa o per lo meno realizzati precedentemente alla sua chiamata), "scarcare tutte le volte et mura necessarie et tecte" e sostituirle con "cinque volte ad cruciere" (dovrebbero essere quelle che compaiono nel disegno degli Uffizi A 878r di Antonio da Sangallo il Giovane).
Ad offuscare in parte la fama di Cola avvenne nell'ottobre del 1513 il crollo di una volta del duomo di Foligno; "il caso della volta quale è stato per la fortuna dell’acqua et como sapete la volta fo despontellata per satisfare ad molti": così si ricava dalle parole di C. che con piena sicurezza si impegnò a ricostruire a sue spese tale volta posta "in brachio iuxta plateam veterem", nonché a sottoporre a giudizio di un altro architetto quanto realizzato ed eventualmente a seguirne le direttive (Rossi, 1877, pp. 351, 352, 354).
L'attività di Cola presso il duomo di Foligno dovette cessare intorno al dicembre del 1515, quando liquidò due muratori suoi creditori (Rossi, 1877, p. 357), poiché non lo si trova più citato nei documenti. Circa la notizia della sua presenza nella realizzazione del campanile di Spoleto (ripresa da Zänker, 1971, p. 263), questa dovrebbe essere scartata in quanto il Sansi, sulla base di documenti, mostra che i lavori furono deliberati nel 1510 e compiuti nel 1515 da mastro Cione di Taddeo lombardo (Giovan Pietro Cione; cfr. Storia del Comune di Spoleto, Foligno 1884, II, p. 169).
Da quanto si può ricavare dai documenti sulla Consolazione e da quelli sul duomo di Foligno sembrerebbe che C. limitasse i suoi interventi alla parte più propriamente costruttiva, quella che vedeva un'organizzazione di cantiere di una certa importanza.
Probabilmente, sulla base di tale assunto, Cola si è spostato altrove in cerca di una nuova commessa di lavoro: nel 1518 lo si ritrova a Roma, come risulta da una convenzione con Agostino Chigi redatta il 22 marzo: "Magnificus vir d. Augustinus de Chisijs... et Magister Cola Mathucijs de Caprarola Civitatis Castellan. diocesis architector partibus supra constructione erectione et edificatione cuiusdam arcis in loco portus Herculis" (Cugnoni, 1883, p. 166). Ed è proprio da quanto è scritto nei passi successivi della convenzione che si evince come l'attività specifica di C. fosse quella di impresario-costruttore, il quale "debeat ... construere erigere et edificare... et perficere unam arcem iuxta et secundum designatam et specificatam cuiusdam modelli per dominum Magnificum... dandum et consignandum eidem magistro Cole" (ibid.). Si può avanzare l'ipotesi che il progetto della fortezza, dal cui nucleo si originò quella detta attualmente "La Rocca", possa essere stato redatto da Baldassarre Peruzzi, tanto più che si conserva (Siena, Bibl. com., ms. L.IV.10) un disegno di M. A. Lari, seguace del Peruzzi, che riproduce un ulteriore ampliamento della rocca (pubblicato da P. Marconi, in Quaderni dell'Ist. di storia dell'architettura, XV [1968], 85-90, p. 79).
Cola che secondo la convenzione doveva realizzare l'opera in due anni, probabilmente la terminò prima, forse nelle strutture generali, e Agostino Chigi dovette rimanere talmente soddisfatto che in un documento del 13 ott. 1519 si dichiara convinto "de legalitate et fidelitate Nobilis viri Dni Colae Mathucij de Caprarola" e perciò lo crea castellano della stessa Rocca "cum salario et mercede" (Cugnoni, 1883, p. 167).
Con questo documento finiscono le notizie su Cola; dato che nell'aprile del 1521, morendo Agostino, la situazione e la gestione patrimoniale del Chigi rapidamente si indebolisce, è legittimo ritenere che anche Cola, con la perdita del protettore abbia ripreso a peregrinare o forse anche sia ritornato nella sua terra d'origine.


ERCOLE BERNABEI
Nato a Caprarola (Viterbo) nel 1622 circa, si dedicò giovanissimo allo studio della musica. Trasferitosi a Roma, ebbe come maestro di composizione Orazio Benevoli, insigne compositore della scuola romana. In questo periodo il B. fu allievo anche di Antonio Pastorelli, cantore di S. Luigi de' Francesi. Probabilmente durante gli anni di permanenza a Roma ebbe frequenti contatti con la scuola di G. Carissimi, di cui facevano parte anche M. Cesti e A. Scarlatti, ed è possibile che, introdotto nelle case dei Chigi, degli Orsini e dei Barberini, abbia avuto modo di avviare la sua formazione teatrale assistendo alle rappresentazioni che venivano offerte nelle dimore principesche della Roma papale. Molto giovò alla preparazione musicale del B. l'audizione di oratori e di composizioni sacre che tanto frequentemente venivano eseguite all'oratorio del SS. Crocifisso in S. Marcello e alla chiesa di S. Maria in Vallicella; inoltre, proprio in questo periodo, ebbe modo di assistere agli spettacoli del Teatro Tor di Nona, che era stato inaugurato nel 1661 con l'opera Alessandro vincitor di se stesso di F. Cavalli. In questi anni frequentò anche la corte della regina Cristina di Svezia, dalla quale ebbe protezione e incoraggiamenti. La prima data sicura della sua attività artistica risale al 1° giugno 1653, giorno in cui venne assunto come organista nella cappella di S. Luigi de' Francesi, con lo stipendio mensile di quattro scudi. Tale carica dimostra di quale stima godesse negli ambienti musicali, poiché succedeva direttamente a Luigi Rossi, e suoi predecessori nell'incarico erano stati musicisti di grande fama, come i due Nanino, Giovanni Maria e Giovanni Bernardino, R. Giovannelli e il Benevoli. A S. Luigi rimase per dodici anni e cioè fino al. 1665; tuttavia già prima si era dedicato all'attività di compositore e aveva scritto alcune cantate che figurano in un libro manoscritto in possesso di casa Orsini, ora conservato al British Museum (H. Wessely-Kropik, p. 87) Nella lista dei pagamenti di questi anni a S. Luigi de' Francesi (e precisamente 1653, 1658 e 1659) il B. è indicato anche con il nome di Ercole Pastorelli: ciò farebbe pensare che i suoi rapporti con il maestro fossero molto familiari e che, oltre all'insegnamento, avesse da lui anche protezione; secondo il De Rensis, invece, egli sarebbe stato parente di un Pastorelli che forse gli avrebbe impartito delle lezioni. In questo periodo (1663) il B. fece parte anche della Congregazione di S. Cecilia come "guardiano" (specie di sovrintendente) della sezione degli organisti; più tardi, nel 1670, divenne "guardiano" della sezione dei maestri, succedendo nell'incarico ad Antonio Maria Abbatini. Il 4 luglio 1665 (e non nel 1662, come indicano erratamente il Baini, il Fétis e altri storici posteriori) il B. fu nominato maestro di cappella nella basilica di S. Giovanni in Laterano, importante posto che era stato occupato fino a circa un mese prima da Giuseppe Corsi, e che egli tenne fino al 5 marzo 1667, quando tornò nuovamente a S. Luigi de' Francesi in qualità di maestro di cappella, dopo aver vinto una gara "inter plures concurrentis" (sic), come si legge nel decreto di nomina datato 6 marzo 1667 (citato dal De Rensis).Nel decreto il B. figura raccomandato dall'ambasciatore francese Charles Albert d'Ailly duca di Chaulnes e soprattutto dall'uscente maestro di cappella, l'Abbatini; viene considerato, inoltre, il fatto che per molti anni era stato organista della stessa chiesa. Il suo stipendio mensile era di 11 scudi, oltre a un regalo di 6 scudi a Natale e un altro di 1o scudi per la festa di s. Ludovico, in occasione della funzione che aveva luogo "con la massima pompa alla presenza di ambasciatori e cardinali" (Cametti, p. 1), e che sotto il magistero del B. fu celebrata con la partecipazione di quattro cori e numerosi cantori e strumentisti, che arrivarono al numero di quarantadue.Durante questi anni è da supporre anche un probabile servizio del B. presso il principe Flavio Orsini, duca di Bracciano, cui dedicò il Concerto madrigalesco a tre voci diverse (Roma 1669, A. Belmonte), ricordando nella dedica i suoi "singolari favori e gratie ".
Documentata è, invece, la sua contemporanea attività in altre chiese romane: dal marzo 1665 egli appare, infatti, come organista del secondo coro all'oratorio del SS. Crocifisso in S. Marcello (con uno scudo di onorario); il 2 marzo 1668 figura anche come maestro di cappella per il secondo oratorio ivi eseguito, forse di sua composizione. Si può presumere, inoltre, che fosse anche l'organista della stessa arciconfraternita del SS. Crocifisso, poiché accompagnava talvolta i vespri solenni (167o e 1671).A S. Luigi il B. rimase fino al giugno giugno 1672: essendo morto infatti il 17 giugno di quell'anno il suo maestro O. Benevoli, venne chiamato tre giorni dopo a succedergli nel posto di maestro di cappella alla cappella Giulia in Vaticano, come si rileva dal decreto di nomina (Arch. Cap. S. Petri in Vat.,Arm. XV, vol. 15, Decreti, f. 94 r., 1668-1681), dal quale si ha inoltre prova che egli godeva della stima e della protezione di Cristina di Svezia. Del nuovo posto prese possesso con lo stipendio di 15 scudi mensili. Sebbene occupasse una così alta carica in Vaticano, il B. continuò, tuttavia, la sua attività di organista del secondo coro nei consueti cinque oratori eseguiti, dal febbraio al marzo 1674, in S. Marcello, dove l'arciconfraternita del SS. Crocifisso, sotto la protezione del cardinale Flavio Chigi, aveva già nel 1673 iniziato i preparativi per il giubileo del 1675. Probabilmente fra il 1673 e il 1674 il B. dovette comporre l'oratorio per l'anno santo Regina Ester liberatrice del popolo Ebreo,che venne successivamente eseguito il 27 di febbr. 1675 nell'oratorio dell'arciconfratemita della Pietà della nazione fiorentina a S. Giovanni (dei Fiorentini). Questa arciconfraternita celebrò il giubileo facendo eseguire, dal 13 genn. al 16 apr. 1675, quattordici oratori musicati dai più rinomati maestri di allora: A. Masini, B. Pasquini, A. Melani, G. B. Di Pio e A. Stradella, oltre al Bernabei. Ormai la fama del B. si era diffusa anche all'estero, tanto che appena due anni dopo la sua nomina nella cappella Gitilia in Vaticano, quando J. K. Kerll,lasciò il servizio alla corte di Monaco, egli venne scelto dall'elettore Ferdinando Maria di Baviera come suo successore nella carica di maestro di cappella. Partito l'8 maggio 1674, il B. giunse a Monaco, munito di una commendatizia del cardinale Carlo Barberini, e trovò nella capitale bavarese ottime accoglienze, anche perché la, musica italiana dominava nell'ambiente di corte (come, del resto, avveniva a Dresda e nelle altre corti tedesche e austriache), che fin dal 1568 aveva accolto opere e artisti italiani. In particolare, durante il principato di Ferdinando Maria e di sua moglie Adelaide di Savoia, era stato favorito il teatro d'opera italiano, iniziato con la rappresentazione, il 12 febbr. 1654, del primo vero dramma per musica, La Ninfa ritrosa,di anonimo. Era naturale che in tale ambiente il B. avesse la possibilità di manifestare liberamente il suo talento. Tuttavia il Kerll, come narra il Rudhart, invidioso del suo successore, cercò di metterlo nell'imbarazzo scrivendo per il concerto d'inaugurazione un duetto per due castrati così difficile da costringere i cantanti a stonare; ma il B. riuscì, con la sua grande abilità, ad evitare un ridicolo insuccesso.Nel decreto di nomina, redatto poco dopo (30 giugno 1674) in lingua tedesca e italiana, è evidente, oltre la stima verso il B. presentato come un maestro "von gueten Qualitäten und grosser Perfection ", l'eco di questo tiro del Kerll e forse di altri incidenti simili, poiché in un brano del testo italiano si esortano tutti i musicisti a "prestargli obbedienza, senza che alcuno ardisca contrariarlo… ò di moteggiarlo, e molto meno oltraggiarlo in, ò fuora di Cappella, ò Camera; ne in fatti, ne in parole; e ciò sotto pena inevitabile della disgratia di S.E.A.; siccurissimi i disobbedienti di provarne senza remissione, ò riguardo gli effetti" (KirchenmusikalischesYarbuch,XVI [1891], p. 75).
Il 25 luglio 1674, circa un mese dopo la nomina, lo stipendio del B., che nel frattempo si era acquistato grande stima e simpatia presso la corte bavarese, fu fissato in 1180 fiorini e altri 243 "per il vino ". Con un decreto del 2o novembre gli venne successivamente anche conferito il titolo di consigliere di corte, e con un altro del 27 ott. 1677 ottenne altri 6o fiorini per lavori speciali prima eseguiti da un certo B. Giusani. Il B. non deluse i suoi protettori e fino alla morte vide aumentare la sua reputazione per le opere che, con incessante attività, andava producendo, e per il suo buon servizio. Morì a Monaco il 4 0 il 5 dic. 1687, poiché fu sepolto il 6 dicembre nella chiesa di corte di S. Gaetano.
Il Baini, il Fétis e altri sostennero, erratamente, che il B. fosse morto nel 169o: nel 1688, infatti, gli successe nella carica alla corte bavarese il figlio Giuseppe Antonio e tale successione non sarebbe certo avvenuta se egli fosse stato ancora in vita (e di questoavviso era anche il Burney).
A testimonianza del suo ottimo insegnamento, si ricorda che fra i suoi allievi, oltre ai figli Giuseppe Antonio e Vincenzo, ebbe anche A. Steffani.Della produzione del B. - che dovette essere cospicua - molte composizioni sono andate perdute, alcune sono d'incerta attribuzione, ma altre rimaste non sono "mai del tutto scomparse dal repertorio delle cappelle di Roma e di Monaco" (Encicl. della Musica Ricordi). Da queste poche composizioni, giunte fino a noi ancora inedite (ad. eccezione dei già citato Concerto madrigalesco del 1669, delle Sacrae modulationes. Opus Il, stampate postume a Monaco nel 1691 per i tipi di L. Straub a cura del figlio Giuseppe Antonio, e di una raccolta di Motetti a tre e quattro voci con e senza istrumenti, pubblicata ad Amsterdam nel 172o), è possibile avere un'idea abbastanza chiara delle capacità creative dei B., sia nel campo religioso sia in quello profano, e della stima riscossa durante tutta la sua vita. Degno allievo del Benevoli, il B. si distinse per la facilità nel trattare lo stile polifonico a più parti; egli non soltanto mantenne la grande tradizione della scuola romana su un piano di grande dignità, ma seppe evitare artifizi esagerati - come era nello stile del suo tempo - e infondere in essa la propria genialità influenzata dalle esigenze artistiche dei tempi nuovi, da lui intuite e preannunciate.Il Fétis cita, come esempio della sua abilità polifonica, un Dixit a otto voci reali con istrumenti composto a Monaco nel 1678e ritenuto un capolavoro del genere. Tuttavia la fama del B. resta legata al tentativo, in gran parte riuscito, di donare al canto una nuova forza espressiva, piegando il suono alle esigenze della parola (caratteristica in lui l'accurata scelta del testo, ad esempio, nelle cantate) e infondendo alla monodia un calore espressivo e una drammaticità che ricordano G. Carissimi e B. Marcello. Questo spirito di modernità, evidente nella sua musica ecclesiastica e in quella profana, dovette forse comparire anche nella produzione teatrale, sebbene inessa un frequente ricorso a espedienti spettacolari denotasse un legame ancora forte con la precedente tradizione operistica. Il B. ebbe, comunque, il merito di aver diffuso in Germania lo stile italiano, di aver recato nuovo contributo alla musica religiosa e, soprattutto, di aver formato musicisti d'indubbio valore.Delle composizioni religiose manoscritte del B. il Baini citava salmi, offertori e messe che dovevano trovarsi a Roma nell'Archivio della cappella Giulia in Vaticano, dove in realtà oggi è conservato un solo motetto: Exaudiat (te) Dominus (segnatura: XV. 105, p. 27).Al B. tuttavia sono attribuite anche due messe adespote a 16 voci,LaFebea e LaMelliflua, ivi conservate (Bibl. Apostolica Vaticana, Capp. Giulia, XI. 79,nn. 3 e 4), caratteristiche per l'impiego della settima nella cadenza finale. Nel catalogo manoscritto della raccolta Santini a Roma erano registrate inoltre le seguenti quattro composizioni: Magnificat a 8voci, AveRegina, canone a 7 voci,Popule meus in due cori e ExaudiatteDominus a 3 voci; il Killing cita invece nella stessa raccolta (ora a Münster, Bibliothek im Bistumsarchiv), al posto dell'AveRegina edel Popule meus, i motetti Confitemini Domino a 3 soli e cori edEcce Sacerdos magnus a 2 voci (inserito nella raccolta a stampa di G. B. Caifabri e F. Cavallotti, Scelta de Motetti da cantarsi a due e tre voci…, Roma 1665,G. Fei). Delle varie composizioni sacre e profane, tutte elencate dall'Eitner e dal De Rensis, che si trovano nelle principali biblioteche italiane e straniere (Roma, Bologna, Modena, Berlino, Monaco, Dresda, Vienna, Londra, Cambridge, ecc.), si ricorda qui l'autografo di Due bassi d'organo cifrati,conservato alla Staatsbibliothek di Monaco (la più ricca di opere del B.); un Agnus Dei a 4 voci e l'antifona Ave Regina Coelorum a 7 voci, conservati a Roma presso la.Bibl. Casanatense (segnatura: fondoBaini, Mus. 214 e ms. 2564), e XICantates pour soprano avec basse continue(poesia dei marchese Spada Veralli), conservate nella Bibliothèque du Conservatoire Royal de Bruxelles (segnatura: ms. n. 566), non citati dall'Eitner e dal De Rensis. Per quanto riguarda la produzione teatrale dei B., inoltre, sappiamo che essa si svolse tutta alla corte di Monaco. Le prime due opere, ambedue completamente perdute, furono rappresentate nel 1674; la prima, La conquista del Velo (sic) d'oro in Colco,su libretto di D. Gisberti, era probabilmente un torneamento a cavallo; la seconda, La fabbrica delle corone,sempre su libretto del Gisberti, presenta alcuni dubbi sull'attribuzione, essendo le notizie pervenuteci incerte e discordi. Dell'anno successivo è Iportenti dell'indole generosa, ovvero Enrico terzo imperatore, duca 33 (sic) di Baviera (libretto del Gisberti), purtroppo anch'essa perduta. Restano i libretti a Monaco e a Vienna delle ultime due opere, rappresentate a Monaco rispettivamente nel 168o e 1486, Illitigio del Cielo e della Terra conciliato dalla pubblica felicità di Baviera (libretto di V. Terzago), "torneamento festivo" in occasione del matrimonio della principessa Marianna Cristina di Baviera con il principe ereditario di Francia, ed Erote e Anterote,"torneocelebrato dall'A.S.E. di Massim. Emanuele etc. alle Sue augustissime nozze con la Seren. Elettrice Maria Antonia ".


MONS. SEBASTIANI GIUSEPPE
Mons. Giuseppe Sebastiani nasce a Caprarola (Viterbo) il 21 febbraio 1623, a 15 anni sentì la vocazione monastica ed entrò tra i padri Carmelitani. I suoi superiori lo scelsero per un lavoro missionario in Malabar, nelle Indie orientali. Nel 1667 venne nominato vescovo in Calabria nella sede di Bisignano; dopo cinque anni fu trasferito a Città di Castello, dove ancora oggi è considerato uno dei più grandi vescovi succeduti nella chiesa di San Florido. Nei suoi 22 anni di episcopato visitò le diocesi di Bisignano e di Città di Castello con varie visite pastorali e promosse il restauro e la costruzione di nuove chiese. Concluse la sua esistenza terrena nel 1689, dopo una lunga malattia; la fama delle sue virtù andò sempre crescendo e gli si attribuirono numerose guarigioni.

